Quando le donne andavano al mercato con i cesti della frutta

Quando le donne andavano al mercato con i cesti della frutta

di Franco Filipetto
Non sono remoti i tempi in cui le donne con le ceste colme, in particolare di frutta o di verdura, andavano a vendere ai mercati del circondario, senza passare attraverso intermediari, in modo che il ricavato per le famiglie di agricoltori e frutticoltori fosse netto.
Il Vergante (nell’entroterra del Lago Maggiore) era il frutteto del Nord del Piemonte, il clima del lago e la collina che lo proteggeva verso Nord ne hanno fatto un luogo ideale per la coltivazione della frutta. Questo sino agli anni Settanta quando le attività agricole si sono trasformate in floro – vivaistiche. Gli uomini erano addetti alla lavorazione della terra e delle piante. Le donne, spesso tutti i giorni della settimana a seconda della maturazione si recavano ai mercati, da Sesto Calende, attraverso Arona e Stresa, sino a Pallanza, Intra e persino Cannobio. Il mercato di Cannobio era considerato molto redditizio, già subito dopo la Seconda Guerra Mondiale arrivavano gli svizzeri a fare acquisti, e pur di avere prodotti di stagione e di qualità non badavano a spese. Le donne scendevano dai borghi collinari con le ceste piene. In primavera portavano le fragole, ricercate erano quelle di Fosseno, le caricavano sulle biciclette, che poi agli imbarchi del battello chiudevano con catena e lucchetto.
La gelateria “Giannino” di Lesa pagava molto bene le fragoline piccole di Belgirate, sia bianche che rosse, il ribes, o l’uva spina. Utilizzavano questi piccoli frutti per guarnire le fantastiche coppe di gelato che i clienti sorbivano ai tavoli sotto i portici o sul lungolago, o le torte che il pasticcere preparava. Era infatti, subito dopo il ’45 il battello il mezzo più utilizzato per raggiungere i mercati dei paesi rivieraschi, le donne con le ceste prendevano quello delle 5,30, per arrivare per prime ai vari mercati. A sera tornavano con le ceste vuote, l’eventuale invenduto, semmai ci fosse stato, lo cedevano ai negozianti del posto. I soldi ben nascosti, sul percorso di ritorno non si sa mai chi potevano incontrare, servivano per il bilancio familiare. All’inizio dell’estate le ciliegie, mitiche quelle dei Borroni di Meina, le prugne, poi pesche, le pere, in autunno le mele, chi non ha assaggiato quelle del “Tugnin” di Madonna della Neve, a Meina, e i cachi, questi subito dopo la guerra andavano a 8-10 lire al chilo. Colazza, Invorio, San Salvatore di M ssino, Calogna di Lesa erano circondate da boschi che tra settembre e ottobre sfornavano funghi porcini in quantità superiori ai giorni nostri, forse la qualità dell’aria era migliore. In quei periodi toccava per lo più agli uomini cercarli e il giorno dopo alle donne scegliere il mercato più proficuo per andarli a vendere. Il fungo era un prodotto che alle 11 del mattino era già tutto venduto. Li ricercavano, e li pagavano bene, i villeggianti delle lussureggianti residenze.
Dai boschi, prima delle foglie cadevano i ricci con le castagne, anche quelle andavano a ruba, allora non costavano 9 euro (18 mila lire) al chilo come oggi. Ma anche con queste le donne degli agricoltori portavano a casa qualche soldino. I kiwi (actinidia) in Piemonte arriveranno solo a metà anni Settanta grazie al professor Bruno Caraffini, aronese docente di agraria, che fece arrivare alcune piantine dalla Nuova Zelanda. Il Piemonte ne è diventata una delle regioni più produttive al mondo. Per ultimo citiamo la Gianna Strola del Cascinone di Sovazza di Armeno che sino agli anni Ottanta portava a Stresa, Lesa e Meina, il latte e il burro fresco naturale delle sue vacche, quello giallo non pallido come quello odierno dei supermercati. La Gianna scendeva da Sovazza con la prima corriera, poi si spostava in treno e in ogni stazione aveva una vecchia bicicletta per gli spostamenti nei vari paesi. L’allevatrice nella sua fattoria non aveva la luce elettrica, per primo all’inizio degli anni ‘80 le è arrivato il telefono con quasi cinque chilometri di palificazione per sorreggere il filo lungo la provinciale da Sovazza alla sua masseria. Era il sistema di vendita precursore del commercio a “chilometro zero”, tanto decantato oggi. ceste frutta

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