Metti un fiore nei nostri piatti: la via gastronomica della floricoltura

Metti un fiore nei nostri piatti: la via gastronomica della floricoltura

di Enrico Villa

Come per il riso, i fiori costituiscono forse una minaccia che viene dall’Asia per i floricoltori e le serre italiane ed europee. Se i dati statistici sono esatti, e comunque, vanno confermati, fiori recisi e piantine sono importati dai paesi con una forte coltura fioricola con questa graduatoria: il 13% in Europa, assai forte per la floricoltura, e il 29% negli USA, altrettanto importante in alcuni states dell’area pacifica. Questa indicazione, non sempre apprezzata come dovrebbe, era stata data dall’Ismea nel 2013 in uno dei suoi consueti report annuali. La presunta invasione di rose, tulipani ed altro sarebbe stata facilitata dai moderni metodi di trasporto per aereo, navi e altri veicoli: la conservazione sperimentale entro 8/10 giorni e fino ad un mese, è stata attuata in una azienda floricola di Torre del Lago Puccini (provincia di Lucca) la quale dal 2005 coltiva fiori gastronomici accanto a quelli da ornamento con una forte tradizione territoriale. La ricerca in questo comparto, con riferimento alle banche del germoplasma (1.700 banche in Italia) è anche sorretta dall’Università: di Pistoia, di Torino, di Roma ed estere che stanno impegnando fortemente i loro istituti di biologia. Per esempio, i ricercatori di Tor Vergata (Roma) hanno confermato che in floricoltura sono disponibili 50 mila varietà edibili, e che la loro storia naturalistica e scientifica si intreccia con la storia della erboristeria, altro comparto in decisa espansione dopo una stasi di alcuni decenni.

In Italia, il retroterra storico/culturale è molto interessante, e anche spiega come la floricoltura delle più importanti regioni italiane si stia imponendo economicamente. Come capostipite può essere considerato il frate agostiniano ceco Iohann Gaspar Mendel(1811/1884) il quale, con le ricerche sui piselli, mise a fuoco la legge genetica della dominanza di un vegetale incrociato rispetto ad un altro. Poi nel 1600 comparvero i primi trattatisti su fiori ai quali nell’Ottocento si aggiunsero le memorie del presidente Mattiolo dell’Accademia di Agricoltura di Torino. Il passaggio da questi scrittori scientifici e dalle istituzioni alle Università, in realtà, fu automatico nella seconda parte del Novecento e in questo secolo. Le crisi periodiche delle serre verificatesi durante il lungo periodo di crisi economica, avrebbero valorizzato ulteriormente il ruolo delle banche del germoplasma le quali custodiscono le origini antiche di vegetali che sarebbero andate perse. Infatti questo patrimonio genetico, anche tutelato per le varietà dei cereali come grano, mais, riso, secondo gli esperti di botanica eviterebbero altre spese di ricerca sui fiori e i loro incroci, in effetti tutelando la stabilità della gestione delle serre disseminate nella Pianura Padana e lungo la Penisola fino in Calabria e in Sicilia.

Un minimo di stabilità strutturale ed economica sembra indispensabile proprio tenendo presenti le caratteristiche del comparto florovivaistico, circa 21.000 aziende che garantiscono il lavoro a 100.000 addetti con questa ripartizione: vivaistici su 29.000 ettari, floricolo su circa 6.000 ettari, misto su 176.000 ettari. L’Ismea, in un suo report del 2012, ha anche calcolato il consumo medio pro capite di fiori e piante, ovviamente riferito sulla spesa annua familiare: 22,2 euro nel Nord Ovest italiano, 17,8 euro nell’Italia dell’est, 14,4 nel Centro, 35,6 nel Sud. Le cifre confermerebbero la propensione che dipende dalla tradizione e dalle abitudini. Per ora, in realtà, la spesa media pro capite avrebbe avuto una flessione dell’1%. Nella conclusione dello stesso report, l’Ismea richiama anche quanto bisognerebbe fare: riorganizzazione della filiera nonché maggiore sensibilità delle istituzioni. In parte questo autorevole appello del ministero delle Politiche Agricole da cui dipende l’Ismea è stato ascoltato dal Parlamento, alla vigilia del suo scioglimento. Infatti, è stato istituito il bonus verde che prevede il 36% di detrazione per quanti (istituzioni pubbliche come i comuni, e privati) investano in giardini e vegetazione ornamentale.

Nella storia della floricoltura, gli anni Novanta hanno contrassegnato un’altra svolta: contemporaneamente all’entrata in vigore della autorizzazione per l’uso e il commercio degli insetti ricchi di proteine, si è diffuso come ai tempi dei romani sempre più l’utilizzo di fiori nei piatti di eccellenza dei gourmet. Addirittura i fiori adatti per insalate, carni, dolci, sono stati scelti per rendere più gradito il consumo di insetti, istintivamente non accettati da tutti. E dall’ultimo decennio del secolo scorso si è consolidata una alleanza gastronomica fra i cuochi a quattro stelle e i produttori di fiori edibili. I botanici ricercatori delle Università come quelli di Tor Vergata hanno scritto veri e propri trattati sui fiori in cucina , fra l’altro indicando i fiori per rendere ancora più accattivante i risotti, mentre la floricoltura ha imboccato la strada per la produzione alimentare dei petali come da un decennio fa la Floricoltura Carnazzi di Torre del Lago Puccini. Però, per queste produzioni sono importanti due regole anche sottolineate dai titolari dell’azienda toscana. Non tutti i fiori, come del resto i funghi perché velenosi, possono essere mangiati. Inoltre, coltivare fiori edibili significa applicare rigorosamente le regole bio. Pertanto, nessun impiego di fitofarmaci. Altrimenti, secondo i dati disponibili di marketing, il 31% dei consumatori uomini e il 68% delle consumatrici acquirenti nei supermercati voteranno inesorabilmente le spalle alle rose o ai crisantemi gastronomici.

fiori

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