La Rossa che fa bene e combatte l’obesità

La Rossa che fa bene e combatte l’obesità

di Enrico VillaVitellone-piemontese-della-coscia-ora-IGP

La Dieta Mediterranea, che si è imposta da secoli nei paesi occidentali e arabi affacciati sul mare nostrum, fa vivere a lungo e senza grandi problemi di salute. Verificando su migliaia di persone, anche sugli operai delle Ferrovie dello Stato, lo accertò Ancel Keys (1901/2004), biologo e medico americano che era arrivato in Europa al seguito delle truppe alleate degli Stati Uniti. Keys, negli anni Cinquanta con un puntuale lavoro condiviso dalla Comunità Scientifica documentò questa “verità” nel volume Seven Country Studys nel quale si esaminava lo stato di salute di milioni di uomini e donne che vivevano sulle sponde del Mediterraneo, consumando cibo con le radici storiche affondate nelle tradizioni gastronomiche millenarie le quali avevano influenzato la cucina, anche rilevante socialmente. I calcoli, fatti da altri studiosi, avevano un preciso riferimento:100 grammi computati su frutta e verdura, carboidrati come pasta e riso, carne di bovino e di suino, bevande alcooliche, in particolare il vino.

Ma bisognerà attendere fino ai primi anni Novanta per la conferma della “Piramide Alimentare” nella quale, sulla base, sono raggruppati gli “alimenti buoni” e, ai vertici, gli “alimenti sospetti”. Nell’area “cosiddetta pericolosa” furono collocati i cibi ad elevate calorie, o anche la carne “rossa” ingiustamente incolpata di procurare presunti danni alla salute. Il primo schema, ormai valido in tutto il mondo, fu compilato dai ricercatori che a Creta si soffermarono sui valori dei cibi, già individuati quasi mezzo secolo prima da Ancel Keys. Da allora, ossia da circa 25 anni, altre verifiche: Organizzazione Mondiale della Sanità, ministeri della Salute dei Paesi Europei e Commissione CEE di Bruxelles. Questo, il principio di base che anche riguarda la salute di oltre 500 milioni di europei: con il rispetto scrupoloso dello schema racchiuso nella piramide della Dieta Mediterranea si combatte validamente la obesità, dalla Organizzazione Mondiale della Sanità definita, senza giri di parole, la maggiore e devastante patologia del terzo millennio. Secondo gli esperti, l’eccesso di peso e la obesità invalidante, negli Usa già forte causa di emarginazione sociale, riguarda nel mondo 2,2 miliardi di individui, vale a dire il 30% circa dell’intera popolazione che comprende 108 milioni di giovani (tra 2 e 19 anni) e più di 600 milioni di adulti. In proposito, osservano al ministero della Salute italiana: “Siamo infatti di fronte ad una vera e propria epidemia globale, che si sta diffondendo in molti paesi e che può causare, in assenza di una azione immediata, problemi sanitari molto gravi nei prossimi anni”. Fra questi, le affezioni cardiache gravi e mortali, le neoplasie all’apparato digerente nonché le affezioni alla specifica sfera femminile.

Poi finalmente 22 anni fa, l’Unesco ha dichiarato la Dieta Mediterranea e il suo schema di base “bene immateriale dell’Umanità”. Pertanto, con il consiglio di rispettarla, appunto nel tentativo vittorioso di scongiurare, per quanto possibile, la “piaga invalidante della obesità”. Sulle indicazioni dell’Unesco nonché successivamente di molti ricercatori internazionali, lo schema della Dieta Mediterranea ispirò governi e ministeri della Salute: Stati Uniti, Australia, Svezia e Paesi Nordici. Però con tante variazioni sul tema della Piramide che, come negli States, frutta e verduta rimasero in posizione invariata, ma non la carne che finì ai vertici al posto dei dolciumi o di generi “pericolosi”. In questo caso specifico, l’economia statale prevalse sulle politiche sanitarie. Non solo. In uno degli ultimi schemi americani, il “coltivare” è prevalso sul resto, tanto è vero che i principali riferimenti sono rimasti i seguenti: coltivare, trasformare, imballare, trasferire, cuocere, non considerando più obesità e calorie responsabili del peso fisico eccessivo, con una variante riguardante il “nitrogen food“. In conclusione, le sostanze negative “come i nitrati” dovrebbero contare di più della equilibrata capacità calorica.

Invece la carne in Italia e in quasi tutti i paesi europei, conserverebbe la sua posizione nello schema della Dieta Mediterranea, sostenuta e favorita dal lavoro di selezione degli allevatori e dalle scelte dei consumatori. Un ultimo contributo è venuto dalla Ue che ha accordato la Igp “a bovini di razze storiche italiane” negli ultimi quindici anni iscritte nel libro genealogico. Tra di queste il “vitellone piemontese della coscia” con caratteristiche organolettiche – assicurano gli specialisti, tra cui Carlo Gabetti presidente del Coalvi – assolutamente compatibili con la dieta mediterranea e con le campagne alimentari contro l’obesità. Secondo un sondaggio demoscopico (Coldiretti/Ixè) il consumatore medio italiano acquista con una crescita del 52% rispetto al passato bistecche italiane prodotte dal nostro bestiame Igp coerente, appunto, con gli schemi della Dieta Mediterranea. E questa la spiegazione: “Le carni nazionali sono più sane, perché magre, non trattate con ormoni ( a differenza di quelle americane) e ottenute spesso nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali”. Un punto in più a favore della battaglia alla obesità e per la riaffermazione della validità della Dieta Mediterranea, come ribadiscono il medico dietologo Giorgio Calabrese e la moglie Caterina, tecnologa alimentare.

 

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