Tutto vestito di ortiche con un foulard di bamboo

di Gianfranco Quaglia

Del maiale, si dice, non si butta niente. Ma neppure del latte, della soia, del bambooo, dell’arancia. Anzi, mi vesto di questi vegetali, meglio di quello che resta, senza buttarlo tra i rifiuti. Sono già pronte le confezioni natalizie, come le sciarpe o foulard ricavati dalle fibre di bamboo: leggere, sottolissime, termiche, riscaldanti. Made in Italy.

Sono i nuovi tessuti ecologici, che tracciano e alimentano il filo diretto tra agricoltura e moda. Prendiamo proprio il bamboo: la fibra mantiene intatte le caratteristiche del vegetale, quindi è elastica, resistente e durevole. La fibra della soia si ricava invece dalla proteina: soffice, più resistente di seta e cotone. Ma nessuno potrebbe immaginare che dalla mucca può derivare un abito “fashion”, il “biancomil”,  ottenuto dalla trasformazione della caseina (proteina del latte). E’ salutare per la pelle perché ha una maggiore capacità di assorbire l’umidità rispetto alle fibre sintetiche ed è un isolante migliore della lana. Il mondo vegetale è una miniera: il “wineleather” è una pelle che si ottiene dalle vinacce, gli avanzi di produzione del vino e poiché l’Italia è il primo produttore mondiale non difetta di materia prima. Unna seconda pelle, setosa e morbida, si ricava anche dalla fibra di rose; così come l’orange fiber, che si ottiene dalla buccia delle arance. Ancora: vestiti in “sea-cell” dalle alghe marine; lo “jusi” dal banano, noci di cocco, ananas. Senza dimenticare l’ortica. Tranquilli, l’abito ricavato non punge, è resistente e termoisolante.

 

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