Ttip, battaglia per la difesa dei cibi territoriali

Ttip, battaglia per la difesa dei cibi territoriali

di Enrico VillaTTIP

Forse, a luglio sarà la volta buona. Le trattative con gli Usa per il Ttip potrebbero concludersi, e la globalizzazione diventerà diversa rispetto al suo avvio anni fa. America del Nord e Unione Europea diventeranno un mercato unico senza più dazi che appesantiscono l’economia. Il Fondo Monetario Internazionale ha simulato alcuni calcoli. Secondo questi stessi calcoli, la somma degli Sati Uniti più l’Unione Europea potrebbero avere un prodotto lordo vendibile del 47% che, senza accordi, potrebbe mettere la Cina e l’Oriente in maggiore difficoltà. E il commercio mondiale si potrebbe trovare a governare il 30% circa dei traffici che riguardano industria, servizi, agroalimentare e altri comparti, però escludendo la Sanità, in una situazione monopolistica di ciascuno stato anche se l’accordo Ttip potrebbe favorire grandemente la chimica (fitofarmaci) e i medicinali, conseguenza della ricerca scientifica che arriveranno dalla sponda americana dell’Atlantico.

Sulle conseguenze del Ttip (Transatlantic Trade and Investiment Partership) si discute dal 2013. Quell’anno, l’8 luglio, furono avviate le trattative che, da parte comunitaria, si concluderanno a queste condizioni: approvazione all’unanimità del Consiglio di Europa; approvazione a maggioranza del Parlamento Europeo; si a maggioranza dei parlamenti dei 28 stati partners. Il “movimento no Ttip” nato in Europa dopo il 2013, con particolare riferimento alla Francia e alla Germania. Queste sono molto perplesse in riferimento ai loro prodotti, nonché insistono sull’agroalimentare. Gli americani ne hanno approfittato largamente, producendo e vendendo nostri “prodotti alimentari” come – per esempio – il Formaggio Asiago fabbricato nel Wisconsin con la nostra bandierina tricolore. I maggiori timori sono suscitati da quello che i commentatori economici internazionali, non favorevoli agli Usa, hanno definito “il cavallo di Troia” per aggredire l’Europa attraverso gli OGM, i polli messi in commercio lavati con sostanze a base di ammoniaca, o gli allevamenti bovini dove, per l’ingrasso, imperano gli alimenti a base di ormoni. Tutto questo in Europa è vietato con l’applicazione del principio di precauzione: vale a dire, controlliamo fino alla sicurezza che un alimento non faccia male e, successivamente, ammetiamolo sul mercato. Negli Usa, e in altri Paesi dell’”area americana” il principio” è diverso: è la scienza, a carico dei consumatori, che deve dire “a posteriori” l’ultima parola. Consumiamo pure i prodotti agroalimentari ma, con l’avvio di cause giudiziarie a spesa dei consumatori, vietiamoli se la scienza ha successivamente testimoniato il danno per la salute. Non soltanto questo. Secondo la cultura industriale americana applicata all’agroalimentare, conta il marchio, cioè il Trade Marck, per cui i “cibi territoriali” non andrebbero più presi in considerazione. Se fosse così, gli IG nonché i Dop ammessi dall’Unione Europea avrebbero sempre meno valore. Forse, ecco un esempio anche per il riso. Conta il “riso in sé”, non il “riso della Baraggia o di un’altra area che noi siamo abituati a valorizzare. Se con l’accordo Ttip per ipotesi concluso a luglio 2016 il principio della “non territorialità” dovesse prevalere, potrebbe essere più facile la concorrenza del riso del Texas o della Lousiana rispetto al nostro riso. In proposito, da una analisi comunitaria è stato accertato che con l’accordo le importazioni di riso americano dovrebbero impennarsi ulteriormente dell’1,1% che si andrebbero ad aggiungere a quelle cambogiane e vietnamite senza dazio per ora avvalorate della UE. Una recente delegazioni comunitaria in Italia, su invito dell’Ente Risi, avrebbe assicurato che nei prossimi mesi la Comunità avrebbe insistito sulla Cambogia, forse per la limitazione della coltivazione del riso cambogiano. Una domanda che sorge spontanea è: l’affare del riso cambogiano a dazio zero potrebbe essere una prova generale per il mercato unico Ttip? In una recente dichiarazione, il pavese Daghetta della Cia ha puntualizzato che “fa solo paura il riso asiatico“.

Ma a proposito degli OGM, sempre in un’altra intervista, è stato rassicurante il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda. Al quesito sul presunto pericolo degli OGM, egli ha risposto: vorrei ricordare che ogm, servizi pubblici, cultura, diritti e tutela sono fuori dal negoziato. Esso, a giudizio dei negoziatori italiani, si concluderà solo se saranno rispettati i parametri a cui ha allude il ministro Calenda. Però, richiamando alla indispesabilità della ricerca e dell’innovazione, sicuramente materia di export dell’ Ttip, Confagricoltura di Vercelli e Biella nell’articolo intitolato “Basta con la caccia alle streghe” ha messo il dito in un’altra piaga che suscita incertezze come il riso senza dazio e in questo momento il mercato volatile evidenziato da Paolo Carrà, presidente Ente Risi. Concerne la genome editing, e la cisgenetica che dovrebbero superare gli OGM, nonché il glisofate che eviterà tanti guai ecologici sul territorio. I movimenti ecologici sono contrari prescindendo – secondo Confagricoltura – dagli indispensabili “tre pasti al giorno” che, con la riduzione per il Ttip del 20% delle barriere tariffarie e 187 miliardi in più di euro potrebbero rendere più snello e vitale l’agroalimentare europeo, e più facili i tre pasti quotidiani

 

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