Risotto Made in Italy può aspirare al riconoscimento Unesco

Risotto Made in Italy può aspirare al riconoscimento Unesco

di Enrico Villa

I risotti italiano e europeo hanno le carte in regola per concorrere, già nel 2018, al riconoscimento Unesco istituito per valorizzare la cultura, la storia, quanto l’umanità è riuscita a creare con la sua identità, il suo lavoro, la sua creatività. Come per la pizza sorretta da migliaia di firme. E come gli spaghetti alla amatriciana, recentemente proposti all’ Unesco dal ministro delle politiche agricole Maurizio Martina. L’ultimo spunto in ordine di tempo è stato fornito da Il Risicoltore dello scorso mese di luglio (direttore Giuseppe Pozzi, editore Ente Nazionale Risi, direttore generale ENR Roberto Magnaghi).

Il mensile agricolo e industriale, con all’attivo decine di anni essendo stato fondato negli anni Cinquanta a Milano, ha illustrato la campagna alimentare sul riso e sul risotto in prima pagina con questo titolo riassuntivo: Germania e Francia apprezzano il nostro riso. E ha proseguito, raccontando le emozioni di cuochi francesi e tedeschi alle prese con l’arte difficile del risotto, un arte davvero ardua se non si rispettano semplici regole “di cucina”, non osservando le proporzioni del liquido (vino da sfumare compreso) e degli altri ingredienti di base. Il “racconto” sul riso e le sue mille variazioni è, in realtà, la prosecuzione di una “memoria storica” con le radici negli anni Trenta quando l’Ente Risi fu costituito e quando, con apposite “cucine mobili” il risotto fu offerto nelle piazze delle città italiane.

La immensa documentazione sul risotto, per l’opera dell’Ente Risi, della Accademia Italiana della Cucina nonché delle tante iniziative di marketing ha soprattutto evidenziato un aspetto: il risotto è cultura e testimonianza dell’identità nazionale, indipendentemente dalla sua semplice preparazione gastronomica. Annotava Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, citato nel 2010 da Il Sole 24 ore: Numerose ed alcune anche pregevoli sono le storie anche italiane sul riso e la sua coltivazione….E Ballarini ha anche richiamato una pubblicazione che, nel frattempo, è diventata fondamentale sul risotto. Ed è Risotto, storia di un piatto italiano di Alberto Salarelli ( Mantova, edizione Sumeti, anno 2010). Parlandone, a proposito del libro evidenzia il quotidiano di Confindustria: attraverso il risotto documenta anche, e in modo inequivocabile, i valori della nostra cucina, intesa come arte, ma soprattutto come espressione e specchio di una società e come mito identitario. Fin dalla sua costituzione a Parigi nel 1945, i ministri che diedero vita all’Unesco sostenevano proprio questo: ogni anno il riconoscimento del valore immateriale della scienza nonché della cultura, o dello sforzo collettivo di un popolo.

Forse questo stesso “valore immateriale” non è stato sempre posto in primo piano, a causa dell’impegno economico preminente sul riso, con l’Italia prima nazione comunitaria per la coltivazione e la produzione del cereale. Eppure, in ogni angolo dell’Unione Europea a proposito del risotto piatto nazionale, l’Italia ha assunto iniziative, o sono state prospettate documentazioni assai interessanti ai fini del presunto valore immateriale del risotto. Per iniziativa di associazioni locali, sono state proposte vere e proprie gare sul risotto, fra l’altro guidate dal giornalista vercellese Marco Reis. Alla fine degli anni Settanta (rogito notarile 2/11/1981 a Crescentino) è stata istituita l’Associazione Donne & Riso, presidente prima Licia Vandone, quindi Natalia Bobba. Partner la Regione Piemonte (assessore all’agricoltura Mino Taricco) nel 2000, nel 2003, nel 2006 l’Associazione Donne & riso uscì con la pubblicazione “Riso, dolce riso” dedicato a “tutte le donne della risaia” e con questa osservazione di Taricco: con il riso in cucina si può fare di tutto, dai risotti ai dolci e alle torte. Negli stessi anni, con medesimo intento, l’Ente Nazionale Risi pubblicò più edizioni di Risoidea. I curatori ricostruirono la storia del riso allo zafferano che trae origine dalla sistemazione rinascimentale delle vetrate del Duomo di Milano, e del “risotto panissa” con una ricetta messa a punto nell’Ottocento a Larizzate, frazione di Vercelli. E il 15 maggio 2012 la Camera di Commercio di Vercelli presentò l’Associazione Amici della cucina tipica vercellese (fondatore lo storico gastronomo Giacomo Grasso, primo presidente Enzo Vizzari).

Ma come evidenzia Il Sole 24 ore, un piedestallo della “cultura del risotto”, ulteriore testimonianza di quanto questo primo piatto italiano rappresenta, è stato messo a disposizione nel 1998 da una “singolare enciclopedia” dalla Riso Gallo ( presidente Mario Preve, sede Robbio Lomellina) che pubblica ben 117 ricette su questo piatto italiano ed europeo. Di più, rispetto al “valore immateriale” del riso, del risotto, del territorio che – si insiste – dovrebbe essere preso in considerazione dall’Unesco. E’ quanto dalla fine degli anni Cinquanta, la sua popolazione con il riso ha saputo fare nell’area e nei comuni della Baraggia Vercellese e Biellese. Il “riso di Baraggia”, base del risotto, fu presentato come Dop ( Cee, riconoscimento 21 agosto2007) a Buronzo sabato 17 novembre 2007. E Carlo Goio, agricoltore di Rovasenda e presidente allora del Consorzio della Baraggia Vercellese, parlò della sua gente come “dei baraggivi duri e tenaci che cambiarono il volto di un angolo importante di Piemonte. Con i risotti, questo territorio e i baraggivi, stirpe di agricoltori, sono sempre in attesa di essere considerati dall’Unesco. La documentazione a favore è davvero copiosa e convincente.risotto2

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