Più formazione meno burocrazia per il Made in Italy

di Gianfranco Quaglia

Il Covid non ha stoppato e non fermerà il mondo dell’agroalimentare. Anzi. I freni a mano  tirati sono altri: si chiamano burocrazia e mancanza di formazione. Al Forum “Made in italy: the restart” organizzato da IlSole24Ore in collaborazione con Financial Times esponenti della filiera agroindustriale si sono confrontati in questa fase a metà strada tra la preoccupazione di un forte ritorno della pandemia e il desiderio di ripartire. Ed emerge una costante: il grande potenziale del Made in Italy è una certezza, ma occorre conquistare fasce nuove di mercato, come sottolinea Ettore prandini presidente di Coldiretti. “C’è una grande fame di italianità – aggiunge – da parte dei consumatori di tutto il mondo, nelle nostre ambasciate servono figure specifiche che conoscano e agevolino le imprese italiane. Occorre uno sforzo straordinario soprattutto nel settore vitivinicolo”. Ecco, proprio in questo comparto è necessario un cambio di passo, sostiene Albiera Antinori: “Il Coronavirus ci ha imposto un arresto nei primi mesi, ma noi siamo abituati ai giri di schiaffi e sappiamo risollevarci. Ora serve una promozione pianificata a lungo termine, non esistono più fiere e il mondo agricolo fatica a trovare una strategia univoca. La burocrazia? Basti pensare che una bottiglia di vino è sottoposta a 36 controlli. Poi il capitolo formazione: ci manca una Bocconi dell’enologia. Quando cerchiamo bravi esperti siamo costretti a trovarli anche fuori dai confini. Sottoscrive Paolo Barilla, vicepresidente: “Non ci può essere sviluppo se il Paese è pesante”.

 

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