Ogm, grandi manovre delle multinazionali e pericolo per i consorzi agrari

Ogm, grandi manovre delle multinazionali e pericolo per i consorzi agrari

di Enrico Villaogm

Gli organismi genetici modificati, dopo una impennata di alcuni anni diminuiscono in Europa. Il fenomeno recessivo è stato evidenziato dalla Isaaa (International service for the Acquisition of Agri-biotech Application). In Europa il dibattito e le restrizioni statali sono numerose. Con un calo del 3% circa, sono stati seminati organismi geneticamente resistenti a aggressioni vegetali nonché ad insetti oltre 91 milioni di ettari a soia, mais, cotone, colza. E la Spagna –secondo il rapporto della Isaaa – ha mantenuto la sua superficie, mentre la flessione si è registrata in Romania (-75%) e nella Republica Ceca (-28%). Ben diversamente è andata nel mondo in cui, sempre secondo la Isaaa, quasi 16 milioni di agricoltori in 29 paesi del globo avrebbero investito in OGM contro i parassiti delle coltivazioni 148 milioni di ettari ( 10 in territori industrializzati e 19 in paesi in via di sviluppo che anche esportano in Occidente). La soia, il mais, il cotone e il colza contaminati sono utilizzati per i mangimi negli allevamenti, o negli stabilimenti industriali come in Catalogna dove ancora sono fiorenti i cotonifici. In base alle ripartizioni statistiche la graduatoria delle coltivazioni in semi OGM è la seguente: Stati Uniti, Brasile, Argentina, India, Canada, Cina, Paraguay, Pakistan, Sudafrica, Uruguay.

Il punto debole, secondo la ricerca e la produzione di materiale OGM, è l’Europa dove contro lo stesso nell’ultimo quinquennio si è assistito ad una levata di scudi, in particolare per la coltura del mais. Infatti le maggiori tensioni invocando il no OGM si sono avute in Veneto e nell’Italia dell’est con contrapposizioni talvolta veementi fra diverse categorie agricole. E proprio nel 2017 è stata data una interpretazione industriale: forse anche per recuperare il terreno perduto degli OGM della Monsanto su cui sono stati effettuati rilevanti investimenti di ricerca, è stato portato a termine la fusione della tedesca Bayer con la statunitense Monsanto (negli anni Venti del XX secolo cosi chiamata dalla moglie del fondatore) e detentrice degli OGM soprattutto riguardanti il mais. L’Unione Europea non ha visto in termini del tutto positivi la fusione. E si è riservata di far eventualmente scattare il disco verde entro le prime settimane del gennaio 2018. Ma il matrimonio Bayer-Monsanto non è il solo che ultimamente interessa gli studiosi di organizzazione agroalimentare e che sostengono l’affermazione di poche multinazionali monopolistiche è male, riducendo sempre più lo spazio al “libero mercato” degli strumenti per l’affermazione di una agricoltura moderna, non basata esclusivamente sui “contratti di coltivazione” e “l’acquisto pilotato” di sementi e di fitofarmaci. Infatti, nel comparto delle sementi e della chimica indispensabili all’agricoltura l’area si è ridotta di molto con la fusione di DuPont e Dow Chemical nonché l’acquisizione di Syngenta da parte del gigante cinese ChemChina al quale il governo di Pechino ha dato vita nel 2004. Questo il commento allarmato di una pubblicazione autorevole di Coldiretti (Il Coltivatore Cuneese, direttore Michelangelo Pellegrino): Il 75% del mercato degli agrofarmaci e il 63% di quello delle sementi sono nelle mani di sole tre multinazionali con un evidente squilibrio di potere contrattuale nei confronti degli agricoltori.

La presunta “blindatura” del mercato a favore delle “tre sorelle della chimica e delle sementi” non sosterrebbe soltanto il presunto rilancio degli OGM da parte di Monsanto e di Bayer, ma a suon di reddito per gli azionisti potrebbe interferire commercialmente. Una vittima, non poi tanto presunta, potrebbe essere quella del sistema dei consorzi agrari, su base cooperativistica e che negli ultimi venti anni si è rafforzata con la sua organizzazione nella Pianura Padana. Anche con le sue 300 mila aziende clienti e i 1300 recapiti organizzativi potrebbe essere problematico essere competitivi di fronte al crescente strapotere delle multinazionali nel mercato dei mezzi tecnici. Proprio il sistema dei consorzi agrari, appunto con le “tre sorelle dell’agrochimica e delle sementi” potrebbero vedersi compromessa una rinascita la quale perdura da un ventennio. Con danno culturale ed economico rilevante, il rischio consistente è che nel cuore della Europa mediterranea sia cancellata una storia importante. Per combattere l’arretratezza dell’Italia contadina che aveva necessità di strumenti di sviluppo, dopo l’Inchiesta Agraria di Stefano Jacini fu emanato il Regio Decreto 3452 che riprendeva nel 1881 lo spirito di rinnovamento agrario dell’impero austroungarico. Don Lorenzo Guetti (1847/1889) un prete dello Judikarien trentino (zona dell’area trentina) nel 1888 fondò il primo consorzio agrario con l’intendo di dare strumenti ai contadini, e nel 1892 riuscì ad istituire la prima Cassa rurale. Dalla fine dell’Ottocento il principio cooperativo a favore di una agricoltura evoluta attecchì e i consorzi agrari divennero un patrimonio dell’agroalimentare italiano. Nel 1926 con la riforma fascista i consorzi agrari furono aggregati alle unioni provinciali degli agricoltori. E dopo il 25 aprile 1945 i consorzi agrari e la Federconsorzi affrontarono anni complicati fino all’assetto odierno con la preminenza del governo delle categorie agricole. Adesso potrebbe finire tutto a causa delle fusioni finanziarie per affrontare la globalizzazione strategica ed economica.

 

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