Moncalvo: dopo riso e pasta ora etichetta anche per l’ortofrutta trasformata

Moncalvo: dopo riso e pasta ora etichetta anche per l’ortofrutta trasformata

di Roberto-Moncalvo2

Il 65% circa dei consumatori italiani gradisce i cibi in scatola in contenitori di vetro. Il gradimento è al 53% circa per gli europei. Comunque nel nostro Paese – e forse anche nei partner europei – nei prossimi anni i contenitori in vetro saranno destinati a recare, ben chiara, la provenienza nazionale dell’ortofrutta trasformata. Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, ha registrato positivamente l’emanazione dei decreti del ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda sulla obbligatorietà della etichetta di origine riguardante il riso, il grano e la pasta (importati dagli USA, dall’Est Europa, dal Canada (Ceta, Comprensive Economic Trade Agreenement) in base ai recenti accordi con Usa e Canada i quali dovrebbero essere ratificati dal nostro Parlamento. Ma Roberto Moncalvo insiste, così come accade da tempo: l’etichetta di origine deve anche contraddistinguere le conserve e i succhi “fino al concentrato di pomodoro, per evitare che venga spacciato come made in Italy quello importato dall’estero”.

Il problema “concentrato di pomodoro” e di condimenti simili a base di pomodoro, è nota. In Italia “piove” merce da tutto il mondo che danneggia gravemente i produttori italiani e che ha avviato un vero e proprio “braccio di ferro” nei confronti della Cina. Secondo gli ultimi dati statistici, non contestati dalle organizzazioni di categoria del settore, nel nostro Paese ogni anno entrerebbero 5 milioni di tonnellate di concentrato di pomodoro, essenziale per la nostra alimentazione tradizionale di base, corrispondente circa al 98% proveniente da Stati Uniti, Spagna, Portogallo, Grecia. Ai fini della nostra difesa, il maggiore incriminato è la Repubblica Cinese, tanto è vero che il concentrato di pomodoro è finito in primo piano nel corso delle trattative con Han Changfu, ministro dell’agricoltura cinese. I protocolli di accordo conclusi e da attuare si riferiscono, in particolare, anche agli agrumi italiani da importare in Cina, fra cui il ” concentrato di pomodoro”. In proposito, chiarisce una nota di Coldiretti: “il prodotto alimentare cinese più importato in Italia è il concentrato di pomodoro per un valore di 63 milioni di euro che viene poi spacciato come italiano per la mancanza di un sistema di etichettature di origine obbligatoria…”Il caso del “concentrato di pomodoro” cinese è il più evidente e clamoroso. Ma secondo Roberto Moncalvo sulle etichettature di origine, poco gradite alle lobby alimentari comunitarie, la strada è ancora lunga, e riguarderà l’ortofrutta trasformata che si sta diffondendo, ma anche altre produzioni come i legumi e gli agrumi. Fra l’altro, lo proverebbe un dato mondiale degli alimentari inscatolati, però senza provenienza precisa, come anche prescrive la Legge n.204 del 3 agosto 2004: globalmente, due miliardi di pezzi. Questa ultima cifra è indicativa di una rivoluzione sociale, economica, culturale avvenuta nel Novecento e che, in parte, ha messo al riparo i consumatori espressi con un referendum che ha raccolto un milione di firme. La pressione derivata dal referendum e dalla Legge 204/2004 ha portato all’obbligo di etichettatura di diversi alimenti di base (latte, carne, eccetera) e dal 2003 anche per l’ortofrutta fresca. Invece è atteso ancora un obbligo per l’ortofrutta lavorata fra cui i succhi di frutta di cui è ormai elevato il consumo, soprattutto fra i giovani.

Storicamente – e curiosamente – il gradimento per i contenitori di vetro nei quali dovrebbe finire l’ortofrutta lavorata riporta alle origini della “rivoluzione dello inscatolato”. Infatti, prima di Louis Pasteur che dimostrò come il calore elimini i batteri e consideri possibile il riempimento di cibi in scatola, il pasticcere Nicolas Appert (1749/1841) dimostrò un’altra possibilità: la chiusura ermetica per la conservazione di carne, pollame, uova, latte, piatti pronti che sarebbero stati riproposti qualche anno fa con l’avvento della surgelazione nonché con le più evolute tecnologie alimentari. Mastro Appert con le sue bottiglie tappate ermeticamente ritenne che i batteri senza aria erano sicuramente destinati alla eliminazione. Egli nel 1810 presentò l’invenzione al Governo francese retto da Napoleone Bonaparte che gli accordò il brevetto, per la carne in scatola applicato anche in Piemonte. Proprio i cibi in scatola di Nicolas Appert favorirono le campagne napoleoniche garantendo la nutrizione dell’Armata francese. E lo stesso accadde, grazie a Giuseppe Lancia di Fobello in Valsesia (padre di Vincenzo, fondatore della fabbrica di automobili Lancia) per l’esercito sabaudo, nel 1859 inviato da Cavour in Crimea. Il pasticcere Nicola Appert divenne il primo “tecnologo alimentare” scrivendo il trattato L’art de conserver le substances animales e végetalés. Sempre, nel 1810 l’inglese Pierre Durand introdusse con un suo brevetto la variante dei recipienti di stagno e di latta che consentirono la conservazione di carne e di pesce, frutta e verdure. Due anni dopo, nel 1812 Bryan Donkin e John Hall dimostrarono che recipienti in vetro anche adesso preferiti dai consumatori e recipienti in stagno diffusi rapidamente si equivalevano. Oltre al riso, al grano e alla pasta, già nei prossimi mesi l’ortofrutta trasformata attende una svolta a tutela dei consumatori. Basterebbe un decreto, auspicato da Roberto Moncalvo e in opposizione a Bruxelles, per dare nuovo respiro alla nostra ortofrutta, in particolare quella bio in questi anni in poderosa crescita.

 

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