Moncalvo: “Chi non rispetta i contratti con gli agricoltori è un bullo”

Moncalvo: “Chi non rispetta i contratti con gli agricoltori è un bullo”

di Enrico Villa

Gli operatori commerciali che non pagano e non rispettano i contratti, sono dei bulli. E vanno perseguiti dalla legge, anche perché danneggiano gravemente gli agricoltori. La definizione nuova è di Roberto Moncalvo, che ha appena concluso l’incarico di presidente nazionale di Coldiretti e ha assunto quello di presidente piemontese della organizzazione agricola. Moncalvo in un editoriale si riferisce al bullismo, ai poteri forti dell’industria e della distribuzione sui nostri agricoltori, costretti a subire cancellazioni all’ultimo minuto degli ordini, ritardi nei pagamenti, modifiche unilaterali dei contratti, mancati pagamenti per la merce invenduta.

moncalvoOra il presunto comparto sleale nei confronti delle aziende agricole è stato prospettato alla Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo che dovrebbe essere rieletto nella Ue a maggio e che è presieduto dall’economista agrario Paolo De Castro. La presa di posizione del presidente di Coldiretti è la più decisa, fa discutere e si ricollega all’ultimo Forum di Cernobbio, il XIV della serie, avvenuto il 17/18 ottobre scorso che ha registrato decisioni importanti per il comparto agricolo. Infatti nell’ambito del Forum è stato concluso un patto formale fra settore primario e industria, in modo che in Europa sia effettivamente difeso il made in Italy scongiurando le frodi e le truffe che danneggiano gravemente l’intero comparto agroalimentare. Sempre a Cernobbio e nelle circostanze successive, è stata proposta da Coldiretti la raccolta di un milione di firme perché sia regolata la provenienza di tutti gli alimenti con un comportamento definito equivoco degli inglesi i quali, come è noto, si stanno preparando ad uscire dalla Unione. L’iniziativa è sostenuta dai sindacati agricoli di Italia, Francia, Spagna, Grecia, Polonia. Nello specifico, la raccolta di firme anche da parte dei consumatori in Europa comunitaria di circa 450 milioni è ammessa dall’Unione Europea, e dovrebbe anche sanare la situazione di cibi senza l’indicazione di origine che sono le seguenti: salumi, carne di coniglio, carne trasformata, marmellate e succhi di frutta, fagioli lenticchie, piselli in scatola, pane, insalate in busta appartenente alla IV gamma, frutta e verdura essiccata.

Secondo i proponenti, il milione di firme dovrebbe rendere possibile in tutta Europa la circolazione di cibi con carta d’identità in base alle tabelle della dieta mediterranea e non in base ai cibi semafolo inventati dagli inglesi che colpiscono le caratteristiche nutrizionali degli alimenti: cioè meno grassi, meno calorie, meno zucchero… A giudizio del neopresidente piemontese di Coltivatori Diretti e come documentano i sondaggi demoscopici due italiani su 3 ( il 63% per la precisione) sarebbero proprio le politiche europee sul cibo a danneggiare il made in Italy a tavola, mentre solo il 10% crede che l’agroalimentare stia beneficiando delle scelte comunitarie. Difatti, come ha evidenziato un rapporto di Ixè per Coldiretti è massiccia l’opinione di quanti credono che il Made in Italy sia danneggiato dalle norme comunitarie, mentre è favorevole il giudizio di una minoranza, forse influenzata dalle comunicazioni istituzionali e pubblicitarie.

Altre conclusioni dell’ultima edizione del Forum di Cernobbio hanno lasciato il segno. In una relazione magistrale Giuseppe De Rita, presidente del Censis, ha dimostrato, dati alla mano, che mangia meglio chi spende meno scegliendo gli alimenti della tradizione regionale nazionale. Non solo, osserva Roberto Moncalvo: Basti pensare che su 100 euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi come frutta e verdura, solo 22 euro arrivano al produttore agricolo, un valore che scende addirittura a 2 euro per i trasformati dal pane ai salumi. Se non è bullismo, questo! A regime l’accordo di Cernobbio fra agricoltura e industria dovrebbe migliorare un poco la situazione, tuttavia considerando una riorganizzazione della agricoltura italiana e comunitaria come è indicato in uno dei pilastri della Pac, la Politica Agricola Comunitaria, secondo le previsioni più avara che in passato con il risultato che attualmente – lo sostiene Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo – con meno posti di lavoro ciò che il comparto agricolo guadagna finisce negli Stati Uniti e in Cina. Già ora, senza il compenso istituito dalla web tax prelevata dai giganti della rete che non pagano tasse, riceverebbe soltanto il 9% dei contributi nonostante l’Italia rappresenti il 13% della popolazione comunitaria. Da questo discende che per quasi 6 italiani su 10 l’Unione Europea tratta l’Italia peggio degli altri paesi (dati della inchiesta-sondaggio Ixè). Non solo, anche secondo l’ultima valutazione della Corte dei Conti: l’Italia paga in contributi 15,7 miliardi, ma ne riceve soltanto il 72%.

In termini più ampi l’accordo agricoltura/industria alla quale hanno dato la loro adesione big industriali come la Ferrero, la Cremonini e le Bonifiche Ferraresi quotata in borsa dovrebbe alla fine dare maggior stabilità e un potere contrattuale più consistente nell’ambito italiano e comunitario. Infatti unita organicamente all’agricoltura, l’industria contraente dell’accordo di Cernobbio evidenza questi numeri eloquenti: giro d’affari di quasi tre miliardi di euro, 42.000 occupati, prodotti di base provenienti da 9/10 mila ettari. Più forza per pretendere di più dal mercato italiano e internazionale e dai suoi operatori nonché dalla Comunità la quale, talvolta, sottovaluterebbe il nostro Paese.

 

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