L’orgogliosa solitudine del Canale Cavour

di Gianfranco Quaglia

L’anno che sta chiudendo, da buona parte dell’agricoltura italiana sarà archiviato come “horribilis”, a causa della siccità che ha condizionato in modo importante le produzioni, lasciando dietro di sé un scia di polemiche e problemi irrisolti: ne sa qualcosa il settore riso, che da decenni invoca inutilmente la realizzazione di bacini di raccolta delle acque piovane che, non trattenute, se ne vanno ai fiumi e al mare, senza essere essere utilizzate nei momenti di massima criticità. Si guarda al 2023, con uno sguardo al passato. Come scrisse Vittorio Gassman c’è un grande avvenire dietro le spalle. Un futuro che si chiama Canale Cavour, perché l’anno prossimo  cadrà il 160° anniversario dell’inizio dei lavori (1863) che portarono al compimento appena tre anni dopo di un’opera ciclopica, di straordinario impatto per tutta la risicoltura piemontese e lombarda. Quegli 83 chilometri sono ancora lì, un’arteria artificiale che succhia acqua dal Po nei pressi di Chivasso e sfocia nel Ticino a Galliate (NO).

“Tutto di braccia e badile” , come recita il titolo di una pièce interpretata da Lucilla Giagnoni, l’attrice di teatro novarese che ha portato sui palcoscenici il monologo teatrale sulla storia del Canale Cavour. Non solo una ricostruzione storica, ma la rievocazione di un’impresa di lavoro, realizzata da uomini e donne dell’epoca. Perché quel manufatto, scavato da 14 mila persone nella pianura piemontese, è anche il racconto di storie umane, fatiche, accampamenti, persino matrimoni che si celebravano nel cantiere. Camillo Benso conte di Cavour, artefice dell’Unità d’Italia, non lo vide né partire né finire, quel canale, si era spento nel 1861. Ma la sua intuizione fu portata a termine come lui avrebbe voluto. E in tempi così rapidi che oggi paiono impossibili, nonostante la tecnologia a disposizione. Dal primo progetto dell’agrimensore Rossi a quello successivo e definitivo, affidato da Cavour all’ingegner Noè, non senza polemiche e risentimenti – come accadrebbe anche oggi – la tempistica fu rispettata, forse addirittura oltre le previsioni. Ecco, a distanza di 160 anni, il Canale Cavour che ha trasformato la risaia italiana promuovendola al primo posto in Europa,  oggi quell’impresa deve far riflettere e risuonare come sfida e monito. Sarebbe un delitto vanificarla senza la capacità e la rapidità richieste dai cambimenti climatici: occorre realizzare in fretta quegli invasi invocati per trattenere l’acqua piovana e contribuire alla missione che il Canale Cavour svolge in orgogliosa solitudine.

 

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