La clausola fa bene al riso La chiedono anche i produttori di arance

di Gianfranco Quaglia

La clausola di salvaguardia conquistata per bloccare le importazioni di riso da Cambogia e Myanmar a dazio zero sta producendo i suoi primi effetti. E può diventare un traguardo per altri settori agricoli italiani che guardano con interesse all’azione intrapresa dal mondo risicolo. 

Andiamo per ordine. L’Ente Nazionale Risi ha reso noto che le importazioni di semilavorato e lavorato dai due Paesi del Sudest asiatico nel mese di marzo sono calate di 24 mila tonnellate (16 mila contro le 40 mila di febbraio e 54 mila di gennaio). Altro dato significativo: viene importato quasi esclusivamente riso lavorato, in parte minima semigreggio o greggio, che non interessano il mercato europeo. In base alla nuova normativa a partire da marzo l’import di riso Indica semilavorato e lavorato da Cambogia e Myanmar deve pagare un dazio di 175 euro/tonnellata. Da notare che i due paesi asiatici hanno tentato di contrastare l’applicazione della clausola sia abbassando i prezzi, con ripercussioni sulla qualità, sia ricorrendo alla Corte europea di Giustizia. In quest’ultimo caso la decisione sarà presa non prima di due anni, quando la politica europea potrebbe già aver escluso la Camnbogia dai benefici a causa della violazioni dei diritti umani. 

Intanto insorgono gli agrumicoltori italiani, a difesa delle arance. Confagricoltura ha chiesto che Ministero Politiche Agricole e Europa si facciano promotori della richiesta della clausola di salvaguardia, così come è avvenuto per il riso, anche qui per bloccare l’invasione di arance da Sudafrica, Egitto, Marocco e altri paesi africani. Dal 2014 al 2018 l’import in Ue è cresciuto infatti di 1,5 milioni di tonnellate.

 

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