Fame di riso in Italia e in Europa: il segnale della società che cambia

Di Gianfranco Quaglia

Saranno necessari circa 62 mila ettari per coltivare riso da risotto. Altri 60 mila per il tipo tondo. Ancora: 40 mila destinati a Loto, Ariete e similari; 13 mila a Baldo e similari. Poi 5 mila per medio e lungo A. Da aggiungere 57 mila ha di lungo B (vale a dire tipo Indica, lungo e cristallino, adatto a insalate e contorni) richiesto soprattutto nei paesi del Nord Europa. Complessivamente servirà una superficie di 237 mila ettari. Questa l’agenda che l’industria di trasformazione detta per la campagna 2018-2019. Con un largo anticipo, visto che da pochi mesi si è conclusa la stagione 2017 e la maggior parte del prodotto è ancora nei magazzini. Mario Francese, presidente di Airi (l’associazione che riunisce le riserie italiane) guarda avanti e soprattutto risponde alla richiesta del presidente dell’Ente Nazionale Risi, Paolo Carrà. Di fronte alla crisi attraversata dal comparto, assediato dalla concorrenza e da un mercato sfavorevole, Carrà era stato esplicito: diteci voi, cari industriali, che cosa dobbiamo seminare, viceversa è inutile invitare i risicoltori a rispondere al sondaggio sulle intenzioni di semina. Sarebbe un’operazione al buio.

E così Francese ha presentato ufficialmente alla consulta risicola una stima del fabbisogno, la previsione della superficie su misura per soddisfare la domanda. Aggiungendo però che “dovrà essere auspicabilmente accompagnata da una regolamentazione dei regimi d’importazione e da politiche di mercato che consentano anche un adeguato tornaconto economico per i produttori”. Un inciso necessario, visto che il documento degli industriali non è stato condiviso dagli agricoltori i quali invocano la sostenibilità dei prezzi.

La previsione di Airi tiene conto sia del riso grezzo ritirato negli ultimi anni, diviso per segmenti di mercato, sia del trend favorevole dei consumi italiani, in Europa e nel resto del mondo. Secondo le rilevazioni di Airi c’è stato un aumento in Italia di oltre il 25% e nell’UE del 10%. L’analisi di questo incremento, che alza l’asticella del pro capite italiano fermo da decenni sui 5-6 Kg, attribuisce le ragioni a diversi fattori: l’aumento di intolleranze alimentari, in particolare al glutine, che modificano le diete dei consumatori; la maggior attenzione alla salubrità; l’incremento dei consumi di prodotti derivati e dell’utilizzo del riso come ingrediente nei processi industriali. E c’è una lettura socio-economica: a influire sarebbero anche l’invecchiamento della popolazione e la crisi che spinge a soddisfare il fabbisogno alimentare con una minor spesa; non ultimi i flussi migratori con l’aumento nell’UE di etnie forti consumatrici. Come dire: il riso specchio di una società in trasformazione.

 

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