E se dicessimo basta con l’agnello pasquale?

E se dicessimo basta con l’agnello pasquale?

di Enrico Villaagnello

La valutazione è stata attribuita alla CIA (Confederazione italiana dell’agricoltura) dalla stampa nazionale che ha criticato la strage pasquale degli agnelli per rispettare una tradizione nazionale. Secondo questa stessa valutazione, ultimamente la macellazione degli animali in Italia si è fermata al 40%, ossia non più di 30.000/40.000 capi su 1.300.000/1.400.000 unità che anche secondo i dati mondiali della Fao stanno ulteriormente diminuendo. Sia per l’abbacchio, piatto laziale, che per gli altri piatti della tradizione nelle singole regioni italiane l’interesse dei consumatori sembra diminuire, sostenuta da altre tradizioni alimentari. L’unico incremento dovrebbe derivare dal consumo degli immigrati di origine araba o mediorientale.

Ma la realtà non sarebbe proprio questa, anche basandosi esclusivamente sui controlli effettuati presso i macelli territoriali. In queste ultime settimane, i mass-media televisivi e autorevoli quotidiani nazionali sono stati di avviso unanime, e hanno anche citato un dato statistico, aggiungendo insistentemente che la ecatombe di agnelli deve finire .E che, dunque, anche in prossimità della Pasqua 2018, sono stati calcolati 50.000 agnelli sacrificati alla cucina regionale. Secondo i rilievi effettuati dalla Regione Sardegna dove l’allevamento degli ovini è preminente, il numero degli allevatori si è attestato intorno alle 3.500 unità aziendali circa che con i loro animali alimentano circa 40 macelli da dove passano, destinati al consumo, oltre 300.000 agnelli di Sardegna IGP.

La loro produzione e trasformazione, sempre secondo le statistiche regionali sarde, è costante da gennaio a dicembre di ogni anno e subisce un picco nel mese di dicembre con una percentuale di poco inferiore al 60%. La panoramica del settore, assai specializzato anche per la cura dei pastori e che comprende anche l’allevamento di capretti, presenta indicazioni interessanti soffermandosi su quanto commercialmente accade a Cagliari, Foggia, Grosseto, Firenze, Campobasso, Macomer, Napoli, Viterbo dove le quotazioni oscillano o si mantengono sostanzialmente stabili in relazione alla domanda e alle scelte degli acquirenti. Con il trascorrere del tempo nell’ultimo decennio in Italia la carne di agnello si è attestava intorno a 1.500 ettogrammi pro-capite, diversamente dalla Grecia dove il consumo pro-capite è intorno agli 11 chilogrammi e a Cipro ferma a circa 12 chilogrammi pro-capite. Consumi vivaci si registrano, inoltre, in Bulgaria, Francia, Portogallo, Inghilterra.

Il caso italiano dell’allevamento ovino e caprino, assai importante in Sardegna ma anche a Campobasso, Foggia, Grosseto, Napoli, Viterbo, rappresenta soltanto la frazione di un universo mondiale della pastorizia, con origini prima in Grecia quindi a Roma e, poi, diffusasi in Europa, in America del Nord e in Australia per ragioni di sfruttamento industriale grazie alla lana di pregio tosato dalle pecore adulte. A livello mondiale la Fao ha effettuato uno dei suoi periodici accertamenti e lo stesso è stato fatto in relazione alla Europa dall’Eurostat, l’ISTAT della Unione Europea. Nei due ambiti mondiale ed europeo, la tendenza sembra quella della diminuzione complessiva dei capi. In ogni caso, la Fao annota che l’allevamento degli ovini si colloca al secondo posto per entità di capi allevati (dopo l’allevamento dei bovini, mentre l’allevameno caprino è al quarto posto. In Europa, secondo Eurostat, nell’allevamento degli ovini le dinamiche europee e quelle mondiali procedono in modo sostanzialmente omogeneo dalla metà degli anni Ottanta fino alle soglie del 2000. Da questo momento, mentre a livello mondiale si registra una sostanziale tenuta, a livello europeo inizia una discesaovvero una diminuzione del 18% rispetto al numero di capi che risultavano allevati nel 1961. Ancora più accentuata la flessione degli allevamenti italiani i quali hanno potuto essere un poco sostenuti dalla concessione degli IGP e della DOP in circa una sessantina di concessioni per la protezione degli allevamenti e per la tutela dei consumatori non soltanto per la carne di agnello bensì anche per la difesa del pecorino, pilastro economico sia in Sardegna che nelle regioni Lazio e Toscana. In proposito, gli esperti dello specifico comparto sottolineano che aderendo al disciplinare IGP o DOP nessun agnello, compresi quelli che affluiscono sui mercati in prossimità delle prossime festività pasquali, può essere venduto come Sardo ancorché questo fatto sia vero e verificabile.

Quanti criticano anche aspramente la possibile strage di 7/10.000 agnelli per le feste pasquali, o i 50.000 come affermano altri, riandando alla tradizione che in parte si sta perdendo, insistono culturalmente sull’aspetto religioso. La vicenda storica dell’agnello, intrecciandosi con la storia del Cristianesimo, è dalla notte dei tempi simbolo sacrificale. Ecco perché in questi mesi sarebbe divulgata in modo insistente la giustificazione in base alla quale senza problemi finisce nei macelli e poi nelle tavole imbandite. Più di tutti, artisticamente il simbolo del sacrificio di Cristo è rappresentano dalla Ultima cena di Jacopo da Ponte detto il Bassano (1515/1592), che ispirandosi a Leonardo da Vinci intorno al 1546 dipinse il suo Ultima Cena. Sullo sfondo del quadro custodito a Bassano, Gesù e gli apostoli che si domandano chi avesse potuto tradire il Maestro. E sul tavolo, con il vino rosso versato sulla tovaglia una testa di agnello, l’animale sacrificale della tradizione italiani particolarmente forte in Sardegna, Toscana e nelle altre regioni del Centro Italia.

 

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