Dietro la guerra del latte il grande ”affaire” per francesi e tedeschi

Dietro la guerra del latte il grande ”affaire” per francesi e tedeschi

di Enrico Villa

Sul mercato dei derivati del latte, un chilogrammo di latte in polvere costa due euro. Dalla polvere, su cui i dietisti sollevano più di un dubbio in riferimento alla salute dei consumatori, industrialmente sono tratti dieci litri di latte liquido, quindici mozzarelle, 64 vasetti di yogurt del peso di 125 grammi. Nel pieno della guerra del latte, la Coldiretti nazionale ha fatto dei calcoli che sono stati rappresentati al Ministero delle Politiche Agricole. E, numeri alla mano, si capisce perché a Bruxelles, specialmente tedeschi e francesi con il loro latte da vendere, hanno insistito: la Legge italiana n.138 dell’11 aprile 1970, che vieta l’impiego di latte in polvere anche per confezionare i formaggi, porterebbe, per loro, a un epilogo negativo. Sarebbero,infatti, normalizzati 497 formaggi italiani che con le loro caratteristiche inconfondibili rappresentano la “proiezione qualitativa” dei singoli territori. Il Piemonte, con i suoi 51 formaggi di grande qualità avrebbe la peggio. E così la Lombardia con 63 formaggi, la Toscana con 35, il Lazio con 40, il Veneto con 33, la Sardegna con 17, anche la Valle d’Aosta con 9 formaggi che, in un modo o nell’altro, influenzano i “laboratori caseari” di tutte le Alpi, occidentali e orientali.

Raggirati i consumatori

Ma le statistiche, in genere non sempre considerate dai mass media generalisti, fanno intravedere dietro la guerra del latte per tutelare i nostri allevamenti, un grande affaire che ugualmente interessa tedeschi e francesi dove, dopo l’affermazione elettorale di Marine le Pen e del Fronte Nazionale, a Bruxelles i francesi, già in una posizione preminente, potrebbero consolidarsi ancora, spalleggiati da Berlino. In pochi anni il capitale finanziario di Francia nell’ambito caseario ha soltanto rafforzato la sua posizione nel mercato italiano comperando quasi tutto, guidati da Lactalis davanti al cui centro organizzativo, a Ospedaletto Lodigiano, gli allevatori italiani hanno recentemente manifestato. A “prezzi sempre più stracciati” è che con il latte il polvere, alla fine gli inconsapevoli consumatori acquistino nei circuiti della grande distribuzione anche il grana padano “taroccato” presentato ( sta diventando una abitudine diffusa per i prodotti italiani) come conseguenza di latte italiano, invece sotto forma in polvere o arrivato in cisterna dalla Baviera o Oltralpe francese. C’è tuttavia di più, soffermandosi sugli aspetti talvolta trascurati dello scenario europeo del latte. In una sua nota allarmata il Coltivatore Cuneese fa riferimento agli acquisti azionari dei francesi – e ricordando il passaggio di proprietà di Galbani, Invernizzi, Locatelli – ammonisce: oggi la multinazionale ( Lactalis) che controlla anche Vallelata, Cademartori e Parmalat detiene il 33% del mercato italiano del latte a lunga conservazione, il 34% della mozzarella, il 37% dei formaggi freschi e il 40,8% della ricotta. In una situazione del genere, lo spazio per l’affermazione degli allevamenti italiani specializzati in latte per formaggi è sempre meno. La manovra subdola in corso, definita perversa, potrebbe concludersi con la sparizione totale delle stalle italiane che -secondo le organizzazioni agricole nazionali – già scompaiono al ritmo di 1.000 all’anno.

Dalle frontiere entrano 3,5 milioni di litri di latte

Il punto più dolente è il prezzo del latte pagato agli allevatori. Per rendersene conto, basta passare in rassegna gli scaffali della grande distribuzione: un litro di latte, senza l’indicazione di provenienza, viene venduto a 0,50/55 quando è stato acquistato ancora a meno dai produttori. Sempre il Coltivatore Cuneese in un eloquente prospetto ha evidenziato la “compressione” a danno degli allevatori e dei consumatori in Italia, Germania, Francia del latte freso, del latte UHT, dello yogurt e delle mozzarelle. In prezzi esorbitanti, da grandi guadagni, nella grande distribuzione, controllata da tedeschi e francesi. In realtà si è creata una via del latte a senso unico. Dalle frontiere italiane -evidenziano gli allevatori attraverso il Coltivatore Cuneese, diretto da Michelangelo Pellegrino – passano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile ma anche concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, alla insaputa dei consumatori. Forse, un ulteriore sostegno illegale, che va a vantaggio delle gelaterie e delle pasticcerie nazionali, viene anche dalle presunte organizzazioni mafiose, le quali – secondo l’organizzazione presieduta dal magistrato Giancarlo Caselli e istituita dalla Coltivatori – hanno ormai raggiunto un plafond di 15,4 milioni di euro. E’ un altro punto dolente che, in qualche modo, aggrava la guerra del latte , tuttora in corso, e ancora lontana dall’attuazione dello slogan coniato dagli allevatori della coltivatori Diretti: giusto prezzi per un giusto latte.

A rischio il 60% delle aziende in montagna

A parte tutte le altre considerazione economiche e di regole commerciali, il mancato esito della guerra del latte metterà a dura prova le aziende di allevamento di montagna dalle quale provengono latte e formaggi di prima qualità. Il risultato – confermano i coltivatori vercellesi: presidenza Paolo Dellarole, direzione Marco Chiesa – è che rischia di chiudere il 60% delle aziende in montagna, con effetti irreversibili sulla occupazione, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti. Vincere la guerra del latte alla lunga significherà, al contrario, segnare punti a favore della montagna e del territorio. Quindi delle popolazioni.guerralatte

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