Una “zuppa” di nanoplastica

Una “zuppa” di nanoplastica

di Enrico Villa

Meno acqua a disposizione sulla Terra. Distruzione della forestazione in ogni angolo del globo, con l’aumento esponenziale di gas serra che anche compromette le coltivazioni di cui ci sarà molto bisogno nei prossimi decenni. Aumento incontrollato della popolazione, che nel 2050 raggiungerà il livello di 10 miliardi di persone specialmente nel continente africano. In ogni caso, come sostengono la Fao e il suo direttore generale José Graziano da Silva, bisognerà trovate la strada per aumentare le derrate alimentari, al momento al limite della sufficienza.

Ma soprattutto anche la lotta concreta all’inquinamento gigantesco che corrompe gli alimenti della terra e del mare. Il 5 giugno, è stata celebrata la Giornata Mondiale dell’Ambiente 2018 proposta dall’Onu. E il quadro che i governanti del mondo e gli scienziati hanno tracciato è per lo meno deludente, forse terrorizzante più della fame nel mondo e degli squilibri geologici. Negli oceani e nei corsi d’acqua che solcano i continenti, i rifiuti di plastica ottenuti dalla lavorazione del petrolio hanno raggiunto gli 8 miliardi di tonnellate. Ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie di plastica i cui residui finiscono nel nostro stomaco o diventano cibo falso e pericoloso per i pesci e gli altri animali a cui dovremmo garantire l’equilibrio biologico, pena la lo loro estinzione e il nostro possibile cancro.

Però, soltanto le grandi cifre hanno colpito l’opinione pubblica mondiale auspicando che l’effetto possa provocare la sua sensibilizzazione. L’effetto devastante delle nanopalstiche studiate dai ricercatori, è in genere passato sotto silenzio, anche se questi frammenti finiti negli alimenti a lungo andare costituiscono un grave pericolo di malattia. Il pulviscolo di residui di plastica attraverso il nostro stomaco si insinuano nelle nostre cellule o, per similitudine come accenna la medicina, stimolano i nostri ormoni provocando manifestazioni incontrollabili determinate nei cereali (mais in particolare, secondo le ricerche) nei mieli e nelle conserve. In un articolo, il dietologo Giorgio Calabrese e la moglie Caterina, tecnologa alimentare, hanno accennato su Panorama parlando di plastica invisibile in tavola. Anche la redazione scientifica dell’Ansa, nell’aprile scorso ha riferito Abbuffata di plastica, più di 100 particelle ad ogni pasto, aggiungendo che i corpuscoli arrivano nel piatto con le polveri di casa di cui sono intrise della stessa polvere le tende ed altri oggetti di uso comune. Desumendolo dagli studi in corso, l’Ansa parla della predisposizione di trappole per catturare le nanoparticelle che hanno permesso di contare 14 minuscoli frammenti di plastica (microplastiche) alla fine di un pasto di 20 minuti, l’equivalente di 114 fibre di plastica su un piatto più grande, come quello di portata. Il che significa che in un anno nello stomaco di ogni individuo possono finire, a sua insaputa, fino a 68.415 fibre di plastica potenzialmente pericolose.

 Sotto osservazione dei ricercatori sono i crostacei e i mitili. Filtrando l’acqua di mare e di fiume, ogni mollusco e batrace ingoiano due frammenti di plastica. Facendo il calcolo con il modo di alimentarsi degli inglesi, che si nutrono di molti crostacei e di mitili, ogni britannico ingerisce in un anno 100 microplastiche le quali provocherebbero effetti negativi sull’organismo umano.

Da qualche anno, l’azione delle nanoplastiche non è nemmeno sfuggita alle autorità sanitarie mondiali che hanno stimolato studi anche attraverso a prestigiose istituzioni. Fra di queste l’ Efsa che ha costituito un gruppo di lavoro guidato dal ricercatore Peter Holemann per capire quanto sia dannosa l’assieme delle particelle di plastica finite negli alimenti e convenzionalmente chiamata zuppa di plastica. Ricerche sono in corso in Germania, altre nelle Università di New York per stabilire il viaggio, forse disastroso, che fanno nel corpo umano i frammenti di plastica che si trasformano in pellet, fiocchi, sferoidi. Studi avanzati sono anche svolti da una delle Università di Edimburgo. Gli stessi studi avvertono che le microplastiche hanno dimensioni fra 0,1 e 5 mila micrometri uguali allo spessore di un capello. Inoltre noi non ci potremmo accorgere dei frammenti i quali hanno le seguenti dimensioni non percepibili dall’occhio umano: da 0,001 a 01 micrometri. In pratica – commentano Caterina e Giorgio Calabrese – ad ogni pasto non mangiamo soltanto i residui della plastica presenti nel mare e contenuti in crostacei e molluschi ma anche quelli ambientali che finiscono nei piatti in quantità elevata: più di 100 particelle. Per il pericolo di frammenti di plastica staccati, da anni si riaccende la polemica sui contenitori di plastica utilizzati per il vino, le acque minerali, il latte e i cartoni nei quali esso è contenuto. In proposito, gli addetti della Goletta Verde di Legambiente hanno rilevato una densità pari 58 rifiuti di plastica pe ogni chilometro quadrato di mare, con punte di 62 nel Mar Tirreno. Il pulviscolo delle microplastiche che insidiano i nostri cibi si staccherebbe in genere dagli imballaggi in plastica nel 2017 cresciuti dell’11% e, a quanto pare, destinati a crescere ancora come in altri paesi della Comunità. Infatti un anno fa in Italia sono stati raccolti 1,07 milioni di tonnellate di plastica, quasi il 50% del consumo intorno a 2,2 milioni di tonnellate, ossia 17,7 chili pro-capite, in agguato forse per avvelenarci inconsapevolmente un po’ come ipotizzano l’Efta, le università americane e quella di Edimburgo.

foto Aknewsmicroplastica

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