Storia, mito, leggende attorno al lupo

Storia, mito, leggende attorno al lupo

di Enrico Villa

Edito dalla Utet nell’autunno scorso Riccardo Rao, incaricato di storia medioevale all’Università di Bergamo, ha pubblicato Il tempo dei lupi, storia e luoghi di un animale favoloso. Alla seconda ristampa, il volume venerdì 13 novembre scorso è stato presentato a Vercelli per iniziativa della Società Storica presieduta da Giovanni Ferraris, decano dell’Università di Torino dove ha insegnato per anni mineralogia. Riccardo Rao ha scoperto quasi per caso il lupo, che da anni terrorizza gli allevamenti specie di montagna.

Ricorda: fui invitato ad una trasmissione radiofonica dove si parlava di lupi. Mi appassionai al tema e lo volli approfondire, specialmente da un punto di vista medioevale, quando l’animale già popolava l’Italia, e il suo mito sollecitò il potere e le popolazioni che sull’ongulato ispirarono tante storie drammatiche, forse generate dalla fantasia. E che queste storie, con le radici nel primo e secondo medioevo generarono le favole e i racconti di Cappuccetto Rosso, poi ripresi dai fratelli Grimm e da Charles Perrault. Il tema specifico è già stato prescelto dal Museo della Scienza di Milano che vi ha dedicato un incontro. Qui, prima a Vercelli e poi in altre conferenze, il professor Rao ha un po’ relegato ai margini la sua esclusiva professione di storico dove in genere prevalgono soprattutto solo i freddi e polverosi documenti, ed ha visto il mito del lupo chiamato Isegrin secondo il linguaggio medioevale in maniera diversa: da biologo nonché da psicologo che richiama Freud e da esperto di ecologia e di agronomia che considera l’animale il vero protagonista del bosco e della foresta con il nome di Beowulf secondo la tradizione nordica europea. Anche con i duecento-trecentomila lupi che popolano la Penisola, minaccia degli armenti che anche nelle epoche medioevali insidiavano la transumanza dalla pianura alle montagne. Allora – e i richiami sono nella documentazione storica a proposito dei longobardi considerati uomini lupo – nacquero le leggende nel Seicento della giovane asturiana Anna Maria che capeggio un grande branco di lupi per vincere il dolore per il padre morto, o dei lupi assassini che nell’Ottocento Carlo Magno secondo le cronache di Paolo Diacono ordinò di perseguire nelle foreste di sua proprietà, come in epoca diversa anche fece il notabile Simone Dal Pozzo di Vigevano per l’eliminazione di lupi che, invece di azzannare bovini e ovicaprini, secondo le credenze popolari aggredivano e mangiavano i bambini. Il popolo, così spinto dalla paura per la belva che generalmente non attacca l’uomo, ne decretarono l’impiccagione come poi accadde molte volte.

La famiglia di Riccardo Rao è originaria della Lomellina e sua nonna fu una mondariso che gli ha tramandato frasi del parlare corrente dove compare nero come la profondità infernale la gola del lupo. Prima dell’avvento della risaia e di altre coltivazioni moderne, la Lomellina fra Ticino e Po era coperta di foreste regno del lupo. Fra il XII e il XIV secolo ogni volta che per la transumanza le mandrie si muovevano dalla pianura alla montagna, ecco la comparsa dell’animale di rapina che, come adesso fra i monti sgozza i bovini per nutrirsene. Da questi episodi di “cronaca zootecnica” tanti episodi ingigantiti e diventati leggende. Lo storico pavese Opicino de Canistris, rinomato per aver riferito in dettaglio della pandemia della peste nera in Lombardia, narrò anche della lotta senza quartiere fra l’uomo agricolo e i lupi. L’otto febbraio 1475 Gian Galeazzo Maria Sforza constatato che con la caccia al canide si eliminava un pericolo per gli allevamenti e per i selvatici nella foresta, regolamentò la caccia al lupo. E nel 1675 il governo spagnolo di Milano concesse alla popolazione lomellina il porto d’armi anti-lupo. Nella chiesetta dedicata a santa Giuliana e non più esistente, un affresco rappresentava la santa che teneva un lupo per un orecchio. Ossia la santità che tiene in catene non il lupo bensì la raffigurazione del demonio. Ma i lupi – questo è il commento di Riccardo Fao – a partire dal medioevo simboleggiano con crescente insistenza proprio il maligno, fino a divenirne la personificazione e non di rado, nei racconti agiografici, ad essere addomesticati dai santi. Del resto, secondo la volgata popolare, lo stesso nel medioevo è accaduto quando San Francesco ammansì il lupo di Gubbio.

La storia non soltanto nel Tempo dei lupi aiuta a passare alla attualità dove, appunto, primeggia come secoli fa il lupo spina nel fianco dei pastori e degli allevatori, puntuali manifestazioni dello spirito ecologico e dell’ambiente, più che mai oggi da tutelare. Infatti, secondo il professor Rao, tornare a riflettere sui lupi e sul loro ruolo ecologico – e quindi anche sui boschi – nel corso della storia è un modo per rinsaldare e riscoprire il nostro rapporto con la natura: per individuare le strade che possono far recuperare un legame vivo e partecipato con il territorio, che è uno dei mezzi fondamentali per coesistere in equilibrio con l’ambiente, e per adottare una prospettiva di salvaguardia della fauna selvatica e di una specie ancora oggi minaccia dall’uomlupo3_1_35469o. Il lupo che ha ripreso a diffondersi dopo la sua scomparsa misteriosa ed essere un pericolo per i danni economici procurati è fra di questi. Però solo eliminarlo fisicamente è un errore. Forse soltanto riproporre la caccia al lupo – afferma lo storico Riccardo Rao – non è ancora finita la storia di uno sterminio antico, fra i più cruenti e sistematici che mai siano stati intentati contro gli animali.

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