Riempire le sacche della comunicazione per un cibo più giusto

di Gianfranco Quaglia

La sfida è riassunta da queste parole efficaci: facciamo che la fame nel mondo fra 15 anni sia come il morbillo. Come dire: una malattia di passaggio, quasi impercettibile, contrastabile con una vaccinazione. Per Clara Velez-Fraga, direttore della comunicazione della Fao, la «Generazione fame zero» è possibile, anzi obbligatoria. Clara ci crede e vuole trasferire la sua tenacia coinvolgendo il più possibile. A cominciare da chi fa comunicazione nel mondo, magari dal Piemonte che ha ospitato il primo Festival del giornalismo alimentare. Un’idea nata a Torino, che ha chiamato a raccolta per confrontarsi giornalisti e blogger da tutto il mondo. Un dopo Expo che ha come obiettivi una migliore e più consapevole nutrizione, l’abbattimento della fame, passando attraverso una informazione che faccia la differenza, non appiattita su slogan stereotipati, che non indulga al sensazionalismo. In altri termini, come recitano due slogan: «Non vi raccontiamo bufale» e «Non sarà una minestra riscaldata». C’è molto spazio e tanta strada ancora da percorrere in un Paese come l’Italia che è ai vertici in Europa per obesità infantile (il 36% dei bambini). Insomma, più che colmare i piatti, da noi «bisogna riempire le sacche della comunicazione» come dice Antonella Pasquariello della Camst (impresa di ristorazione presente in comunità e molte aziende). Sul trasferimento di una informazione corretta si gioca il futuro: nel mondo sul 28% della terra si coltiva cibo che viene buttato nella spazzatura. Lo spreco è uno degli antagonisti maggiori di coloro che cercano di incanalare i consumatori verso una alimentazione corretta. Ma proprio l’Italia, grazie ai suoi alti livelli qualitativi, può giocare un ruolo importante esportando non solo cibo, ma anche un modello di agricoltura e alimentazione. Naturalmente non tutto può e deve essere affidato soltanto agli operatori dell’informazione. Il gioco di squadra deve essere condotto in simbiosi con le imprese che trasformano o gestiscono la distribuzione. Marco Pedroni (Coop) non si tira indietro, anzi stimola le aziende affinché si mettano in gioco senza nascondersi dietro falsi miti: ad esempio non si difende sino in fondo la biodiversità sostenendo che piccolo è bello. Invece è poter portare quel bello, buono e giusto su scala più grande. Il dibattito si è svolto sotto lo sguardo vigile di un guru, Carlin Petrini, che di terra, agricoltura e sostenibilità ne sa qualcosa.

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