“Repetita non iuvant” La monosuccessione vietata per mais e grano

di Gianfranco Quaglia

Si chiama divieto della monosuccessione. Bruxelles ha deciso che nello stesso campo occorre applicare l’avvicendamento colturale previsto dalla nuova Pac dell’Unione europea nel nome della tutela ambientale e della sostenibilità. Produrre sempre lo stesso cereale depaupera il terreno e minaccia la biodiversità. Si parte già dal 2024. Escluse, da questa decisione, le aziende risicole e quelle i cui seminativi sono utilizzati per oltre il 75% da prato permanente finalizzato a foraggio. 

Le regole sono tassative. Rinviate nel 2023, dal prossimo anno dovranno essere applicate. Chi sceglie di proseguire nel 2024 con le medesime coltivazioni, l’anno successivo dovrà rinunciare e saltare un turno. O viceversa. 

Gli agricoltori potrebbero ovviare scegliendo alternative. Alcune risulterebbero però penalizzanti: dedicare la metà dei terreni alla coltivazione storica il primo anno e l’altra metà spostarla al secondo, con il risultato di un raccolto dimezzato per ognuno dei due anni; oppure non ottemperre all’obbligo, ma dovrebbero rinunciare agli incentivi comunitari equivalenti a circa 200  euro/ha in media per il mais della Pianura Padana. E’ probabile che molte aziende moncolturali (mais o grano) si rivolgano ad altri seminativi, come la soia, che garantisce una diversificazione e la continuità dell’aiuto comunitario. Ma c’è un problema: una minore redditività, perché il mais è tra le colture più produttive (con circa 10 tonnellate all’ettaro) contro le 3 della soia. E – osservano gli addetti ai lavori – lo stop per un anno alla coltivazione del mais interromperebbe anche la filiera produttiva che lega le aziende dal campo alla stalla e alla zootecnia, visto che il granoturco è la materia prima fondamentale per l’alimentazione animale. Il Piemonte è fra le regioni più produttive, con 1,2 milioni di tonnellate pari al 26,6% del totale nazionale.

 

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