Regge bene il polmone agroalimentare piemontese

Regge bene il polmone agroalimentare piemontese

 di Enrico Villa

Nell’ultimo trimestre dell’economia piemontese, quasi tutti i grafici della produttività industriale, cui anche deve essere annoverato l’agroalimentare, si sono impennati. Fanno eccezione le industrie del mobile e del legno, con la materia prima tratta dal comparto primario e l’industria dei trasporti, che per lo spostamento delle derrate agricole subisce l’influenza negativa del settore. Anche in questo caso, non sono compresi gli ultimi modelli di macchine agricole, recentemente presentati da una impresa appartenente al Gruppo Fiat con stabilimenti in Inghilterra e sede operativa a Modena.

Malgrado la restrizione dell’export in Russia

Lo stato dell’industria, senza tante differenze tra manifatture industriali e agroalimentare sempre più presente nel secondario, è confermato nelle statistiche dell’Unioncamere di Torino, presieduta dal cuneese Feruccio Dardanello, e con uno scenario tracciato dagli uffici studi delle principali banche nazionali. Infatti l’Unioncamere certifica: stabile nel terzo trimestre 2015 la produzione manifatturiera. Nel suo insieme, calcolando anche i comparti per la produzione di installazioni per l’energia bianca che deriva dalle deiezioni agricole-animali, l’aumento è stato dello 0,1%, coerente con l’incremento nel secondo trimestre 2014, il quale è stato del 2,3%. Nel comunicato di commento uscito il 23 novembre, Unioncamere fa notare, senza differenze fra industria e agroalimentare: lo sviluppo ha coinvolto 1.194 imprese piemontesi, per un numero complessivo di 97.232 addetti e un valore pari ad oltre 50 miliardi di euro di fatturato. Come in passato, il polmone agroalimentare piemontese ha retto bene, nonostante le restrizioni all’export verso la Federazione Russa e le attuali turbative internazionali che potrebbero incrementare la domanda di derrate alimentari, principalmente il riso, con destinazione la Turchia. Infatti, le industrie agroalimentari hanno registrato un incremento di circa il 2%. E, per l’allevamento del bestiame e la carne, questo è accaduto nonostante gli avvertimenti scientifici e un po’ ambigui dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, resi pubblici il 16 novembre: sul globo, attenti. Le carni rosse, lavorate in varie forme dall’industria agroalimentare, potrebbero costituire la base per diverse forme di neoplasie, per esempio il cancro al colon, secondo le statistiche internazionali più diffuso rispetto al passato.

Lo studio dell’OMS ha sollevato assai aspre polemiche nei comparti della zootecnica, della produzione di carne e della sua trasformazione in tagli, salumi e insaccati in genere. Le reazioni, soprattutto riguardanti aspetti economici (il Piemonte è assai importante per le carni di prima qualità) hanno evidenzialo dati contradditori rispetto alla levata di scudi. L’allevamento di bestiame sarebbe considerato responsabile dell’inquinamento dovuto alla anidride carbonica e per il consumo di acqua. Riprendendo dati OCSE e FAO, nel suo recente saggio Corsa alla Terra, l’economista Agrario Paolo De Castro ammonisce: in tutto il mondo, Europa compresa calcolando inoltre lo sviluppo agroalimentare africano, dal 2010 al 2020 il consumo di carne aumenterà fino al 50%. Anche in America Latina e nelle aree asiatiche i consumi passeranno ai 20 chilogrammi pro capite, come adesso si sono attestati nei paesi più sviluppati della Unione Europea.piemonte

I riflettori sul bio

Le ultime statistiche settoriali, secondo l’Istat ultimamente in difficoltà rispetto ai dati di Unioncamere, hanno portato l’attenzione su altri comparti agroalimentari, in Piemonte e in Italia assai importanti: il vino, gli ortaggi che riguardano Cuneese e Torinese in gran parte destinati in Russia, la floricoltura, la trasformazione della carne con stabilimenti sul territorio, il riso statisticamente cenerentola, assai importante a Milano per via dell’Ente Risi che ha recentemente cambiato il Consiglio di amministrazione, a Vercelli, Pavia, Novara, Ferrara e in altre località della Pianura Padana. Da qualche anno i risicoltori di queste aree hanno affrontato la coltivazione bio , pensando di offrire grande qualità non troppo condizionata dall’uso dei fitofarmaci. Ma mesi fa Report, di Milena Gabanelli, ha dedicato su riso e bio una trasmissione, lasciando intendere che in risaia potrebbe integrarsi il reato di truffa e frode in commercio. Per coloro che hanno scelto il bio con investimenti e nuove attrezzature nelle aziende, il danno è stato rilevante. Ma anche sono arrivati i corpi di polizia specializzati (Nas dei Carabinieri e Guardia di Finanza) e, per ora con denunce, la vicenda è finita in Tribunale. Il bio anche destinato all’export di qualità, dovrebbe essere più rispettoso dei disciplinari, danneggiando di meno quanti abbiano scelto la biocoltivazione del riso di grande qualità e indenne, appunto, da gran parte dei pesticidi.

 

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