Omaggio a Vavilov, il russo scienziato delle piante che pagò con la vita

di Gianfranco Quaglia

Il 26 gennaio 1943 Nikolaj Vavilov moriva per denutrizione e mancanza di cure nelle prigioni sovietiche di Saratov, dove era detenuto in attesa di essere avviato ai “campi di detenzione”. Doveva scontare una condanna di 20 anni ottenuta per commutazione della pena di morte inflittagli per alto tradimento. Ma chi era costui? A ottant’anni dalla tragica fine di uno dei padri della genetica agraria, la Società Agraria di Lombardia, presieduta da Flavio Barozzi, ne traccia profilo e rievocazione in un seminario organizzato per il 13 ottobre a Sant’Angelo Lodigiano. “Il pensiero, i contributi e le opere di Vavilov – sottolinea il presidente – sono ancora attuali e pieni di prospettive”. E fu questa visione di antesignano della biodiversità, lontana dagli schemi tradizionali, a procurargli una persecuzione che lo portò all’emarginazione totale, sino alla morte. Lui, vincitore tre volte del prestigioso Premio Lenin, fondatore dell’Accademia delle scienze agrarie e dell’Istituto pansovietico di coltivazione delle piante, era anche oppositore dell’autoritarismo ideologico di Lysenko, giovane agronomo appoggiato dal regime. Così fu accusato di difendere la genetica classica considerata dagli ideologici del partito una “pseudoscienza borghese”. Il passaggio all’imputazione di “spionaggio a favore della gran Bretagna e di boicottaggio
dell’agricoltura sovietica” fu rapido. Processo del tribunale militare, condanna capitale, poi l’incarcerazione sino alla morte di stenti. Dopo la scomparsa di Stalin, fu riabilitato dalla Corte suprema sovietica nel 1955. A lui è stata dedicata una stele nel cimitero della città di Saratov.
Lo “scienziato delle piante” ora torna alla ribalta grazie a questa iniziativa nata in collaborazione con la Fondazione Bolognini, l’Accademia di Grorgofili e l’associazione milanese laureati in scienze agrarie e forestali. Una storia da pochi conosciuta, ma anche di drammatica attualità, che richiama analogie autocratiche e intolleranza spietata nei confronti del dissenso.

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