Nella guerra delle etichette l’Italia rischia di più

Nella guerra delle etichette l’Italia rischia di più

di Enrico Villa

In Europa comunitaria l’alluvione delle etichette con le quali segnalare ogni alimento perché non passino le frodi di quanto mangiamo, non è ancora finita. L’inizio è collocato nel 2011 a livello comunitario con il Regolamento UE 1168/2011 per combattere gli effetti negativi della mucca pazza, una patologia zootecnica che in poco tempo eliminava i bovini, non allontanando i pericoli di contagio per le persone.

Nel 2003 fu introdotto l’obbligo di ragguagliare sulla provenienza della frutta fresca, nel 2004 l’obbligo per la timbratura delle uova fresche, prescindendo per i salumi, per i succhi, le marmellate e i prodotti zuccherini come il miele. Nell’ambito dei prodotti considerati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità i prodotti alimentari dovrebbero in realtà essere privi di zuccheri, grassi e altre sostanze che inducono malattie: in particolare l’obesità che attaglia tutto l’occidente e le patologie cardiovascolari.

Come racconta in un suo articolo, la funzionaria dell’Ente Risi Cinzia Simonelli (Il Risicoltore di febbraio 2018) una commissione è al lavoro in Inghilterra e in Francia. Alla fine dei lavori l’epilogo potrebbe essere: verde sulle etichette per informare che gli alimenti sono edibili senza problemi e rosso per i nutrienti sospetti. Il semaforo (così è chiamato il sistema ideato) dovrebbe anche riguardare i preparati di riso (minestre e risotti) che si stanno velocemente diffondendo. La dottoressa Cinzia Simonelli tuttavia non allude soltanto ai preparati di riso, e così commenta tenendo conto delle produzioni agricole da tutelare comunque: l’Italia è il paese delle eccellenze e numerosi prodotti (formaggi, olio di oliva, vini) rischierebbero di essere penalizzati dalla scelta di una etichettatura poco oculata e impattante in modo aggressivo. Il riferimento generale è alla cosiddetta etichettatura Fop (Front of Packaging) sul cui contenitore potrebbero comparire il verde e il rosso per segnalare in modo indiscriminato il pericolo alimentare.

Il dibattito sulle eventuali misure di tutela, anche indicate tempo fa da una risoluzione delle Nazioni Unite che sollevò polemiche nel mondo agricolo italiano, non riguarda soltanto gli alimenti interni bensì anche quelli provenienti dall’estero e dall’Italia importati. Il riso orientale, arrivato senza dazio poi ripristinato, è un esempio. Il cereale coltivato a migliaia di chilometri avviene senza le cautele obbligatorie in Italia, per cui questo riso anche gravato dai dazi ripristinati continua a costituire un pericolo per i consumatori europei. Esso, secondo molti specialisti, è il regno delle multinazionali dei fitofarmaci regolati drasticamente o impediti nelle risaie europee.

Il dito sulla piaga dei flussi di prodotti provenienti dall’estero, è messo in una nota da Ettore Prandini, da poco presidente di Coldiretti. La documentazione addotta non è solo di Prandini, bensì della Corte dei Conti europea. In sintesi questa la valutazione della istituzione europea: i cibi di provenienza extraeuropea non rispettano gli stessi standard di sicurezza UE sui residui di pesticidi. E ancora: per questo ha chiesto alla Commissione Europea quali misure intende adottare per mantenere lo stesso livello di garanzia per gli alimenti prodotti nella UE che per quelli importati. La presa di posizione Coldiretti a proposito dei flussi commerciali è la seguente: tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali( dei supermercati) ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute.”

 I numeri anche richiamati da Prandini danno ragione alle rigide prese di posizione sugli alimenti di Coldiretti. Infatti il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari è stato pari al 4,7% per quelli provenienti da paesi extra UE, rispetto alla media dell’1,2% e dello 0,4% dell’Italia. Questo significa – è il commento di Prandini – che i cibi extracomunitari sono 4 volte più pericolosi di quelli comunitari e 12 volte di quelli italiani. Se in futuro la situazione rimarrà identica, sarà sicuramente più facile alle commissioni al lavoro in Inghilterra, e Francia di introdurre i colori verde e verde tenue nonché rosso sugli involucri della etichettatura Front of Packging. Le misure comminatorie che prevedono multe fra i 2.000 euro e i 16.000 euro già esistono, salvo che la frode non integri un reato di maggiore gravità proponendo alimenti sofisticati nonché pericolosi che alla lunga provochino allergie, obesità, affezioni cardiache. Nel modo graduato, tenendo conto della natura dei prodotti agricoli ricchi di sale e di grassi, una norma generale del colore è attesa dal 96% degli italiani che hanno risposto affermativamente alla campagna, a suo tempo promossa dal Ministero delle politiche agricole con il supporto del Ministero della Sanità. Quella per l’etichettatura e le informazioni ben intellegibili dai consumatori è una battaglia di civiltà attesa dai compratori sia nella grande distribuzione che nei negozi tradizionali, talvolta avversata dalla produzione industriale che vorrebbe che la situazione rimanga come in realtà essa è. Quindi, nessun colore del semaforo e notizie ridotte sulle etichette, quasi pretendendo che i consumatori siano automaticamente educati alla chimica, alla medicina e alla igiene dei cibi.etichette

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