Martini&Rossi, in quel museo il vino si fa arte e cultura

Martini&Rossi, in quel museo il vino si fa arte e cultura

di Enrico Villa

Una bionda avvenente del servizio pubbliche relazioni della Martini&Rossi a Pessione, a pochi chilometri da Torino, all’ingresso del museo dell’enologia, inventa su due piedi uno slogan che riassume 1200 anni di vino e di enologia. E’ questo: No Martini, no wine. Niente Martini, niente vino. Per dire che la casa italiana, che ha coniugato la enologia con la cultura e l’arte, ha sempre considerato il vino, pilastro portante della sua attività da metà dell’Ottocento. Ad ascoltare la addetta alle pubbliche relazioni un folto gruppo di quelli che quotidianamente dal 1961 visitano il museo, uno dei più importanti in Europa. Molti visitatori appartengono ad associazioni che desiderano informarsi. Ma la maggioranza di quanti si soffermano ad ammirare tini secolari, carri da vendemmia piemontesi realizzati da artigiani che ormai non esercitano più, vetri secenteschi o settecenteschi, sono gli allievi delle scuole alberghiere. Prima Expo 2015, e poi Cibus di Parma hanno ancora più attratto l’attenzione sulla nutrizione e sul bere che perdura da 1200 anni. E in Europa – ma particolarmente in Italia – la conseguenza è stata l’aperura di tante scuole alberghiere fino ad arrivare alla Università di Pollenza. Sapienza di cucinare, ma non solo. Senza vino nella giusta misura, le nostre tavole rasenterebbero lo squallore e l’anonimato.

La giovane guida prosegue: il museo, appendice storica della casa madre della Martini&Rossi risalente al 1863 – due anni dopo l’Unità d’Italia – è a disposizione dal 1961. Raccogliendo i “pezzi” nelle sale del museo, i dirigenti della Casa Vinicola hanno voluto sintetizzare che cosa in dodici secoli ha realizzato l’uomo con la vite e con il vino il quale nel tempo ha mutato fisionomia intrinseca. E anche per questo, le diverse epoche hanno mutato i contenitori dando ancor più fascino alla bevanda: archeologicamente anfore che i fenici, i greci, i romani trasportavano da una parte all’altra del Mediterraneo; quindi bottiglie e bicchieri di rango, usati nelle case reali europee; e poi argenti tedeschi e inglesi per valorizzare ancor più il vino accoppiandolo al cesello e al designer; infine carri istoriati da processione, impiegati al momento della vendemmia nelle terre piemontesi. E anche per questo la Martini &Rossi non si è mai allontanata dal vino, come appunto anche ricordano le sue pubbliche relazioni: no Martini no vine. Non solo: i greci e i romani rendevano ancor più attraente il vino, con additivi di erbe, come per esempio l’artemisia, per cui poi si rendeva necessario il filtraggio. Fin da 153 ani fa, in modo alquanto diverso e più tecnologico, la vicenda millenaria del vino. Alessandro Martini (1834-1905), come già avevano fatto Fenici, Greci, Romani, “aggredì” commercialmente il globo, attuando anzitempo le regole del marketing che nel Novecento e nel primo Duemila hanno aumentato le nostre esportazioni, aiutando a battere i francesi e facendo diventare l’Italia primo paese enologico del mondo. Negli stessi anni di Martini, sempre sul suo tavolo il libro della partita doppia Teofilo Sola ha provato come i conti, a qualunque latitudine, debbono sempre tornare perché un’azienda non muoia. Luigi Rossi (1828-1892) erborista di rango, con la china e la artemisia ha reso il vino ancor più ricco. Oggi, dopo l’alleanza nel 1993 con la Bacardi di Porto Rico, il gruppo Martini&Rossi-Bacardi è la terza multinazionale del beverage con 800 milioni di bottiglie all’anno, 6000 dipendenti e un fatturato di circa 4 miliardi di dollari. Anche questo aspetto è illustrato nel Museo Martini di storia dell’enologia. Al di là dei dati statistici e aziendali questo museo, allestito nelle quindici cantine della casa madre Martini&Rossi di Pessione, cadenzano la storia plurisecolare dell’enologia, la cui importanza è ulteriormente provata da due circostanze di cronaca: il suggerimento di dare dignità alla storia dell’enologia introducendola come corso di studio nelle scuole; e il riconoscimento di una “terra da vino” come le Langhe.

Infatti, il 25 marzo a Palazzo Madama il senatore pugliese Dario Stefàno ha presentato un suo disegno di legge per introdurre obbligatoriamente nelle “superiori” la storia del vino e del territorio, in modo che i giovani si rendano conto di due aspetti importanti: che cosa l’enologia abbia rappresentato per la storia dell’umanità; e che, non criminalizzando il vino, come sia necessario imparare a bere responsabilmente. Inoltre, nel contesto della globalizzazione di cui il vino e i territori italiani sono diventati campioni, a Doha il 22 giugno 2014 l’Unesco ha dichiarato le Langhe “Patrimonio dell’Umanità”. Questi due riferimenti testimoniano come, se ben considerato, il vino sia soprattutto anche cultura. Nelle sue ultime sale espositive il Museo Martini della storia dell’enologia, ribadisce che sia proprio così. Con concerti programmati, pittura, grafica internazionale, erboristeria, storia che da territoriale è diventata internazionale grazie a cinema e famosi attori, testimonials di grido.martini

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