Ma Dijsselbloem conosce il valore delle donne che lavorano la terra?

di Gianfranco Quaglia

Non è piaciuto. Non abbiamo digerito che Jeroen Dijsselbloem, presidente olandese dell’Eurogruppo, abbia pronunciato quella frase convinta, secondo la quale le nazioni del Sud Europa non possono continuare a spendere soldi in donne, alcol e poi chiedere aiuto. Riferimento esplicito – secondo lui – a quel gran baccanale alimentato da uomini e donne dei paesi latini, ovviamente Italia compresa. Nella settimana in cui gli stereotipi hanno dilagato (soppressa una trasmissione televisiva che ha esaltato le preferenze dei maschi italiani per il gentil sesso dell’Est) non una parola, ma lavoro silenzioso arriva dal mondo dei campi. Con una classifica che risponde più di tante polemiche: il 28,7 per cento delle imprese agricole è guidato dalle donne. In generale nel settore primario il numero delle aziende è in decrescita, ma tengono quelle femminili, con una trasformazione di ruoli: poche le lavoranti dipendenti, quasi tutte sono imprenditrici. Parecchie le laureate, giovani, molte delle quali hanno deciso di non abbandonare la terra; alcune sono ritornate dopo esperienze maturate in altri settori o all’estero. Bacco, tabacco e Venere, evocati da Dijsselbloem, non abitano qui. Nel Piemonte, regione italiana con il più alto scarto demografico morti-nati a svantaggio dei secondi (-18%), la tenuta dell’impresa in rosa è una bella realtà e in alcune province supera la media nazionale: è il caso di Alessandria con 2515 aziende e Verbano Cusio Ossola con 204, entrambe sul tetto del 30%. Fanalini di coda Novara e Vercelli, dove le donne alla guida di aziende si attestano nella casella del 19 per cento. E’ evidente un quadro diverso rispetto alla situzione del Sud Piemonte o del Lago Maggiore, aree dove sono più diffuse le presenze di agriturismi, bed & breakfast: qui la donna è regina, conduttrice e protagonista.

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