La grande sete: all’Italia sono mancati 20 miliardi di metri cubi d’acqua

La grande sete: all’Italia sono mancati 20 miliardi di metri cubi d’acqua

di Enrico Villadesertificazione

Il caldo imprevisto per alcuni giorni è salito oltre i 30/35 gradi, favorendo le malattie nelle coltivazioni, in primis riso e mais. Il Piemonte ha grande sete. In questa regione subalpina, terra di dighe idroelettriche, di fiumi, torrenti e canali artificiali (il Cavour), invasi artificiali agricoli e integrati per l’uso civile e produttivo, risaie che non possono rinunciare alle risorse idriche, l’acqua è insufficiente. Secondo i calcoli del Ministero dell’Ambiente, ultimamente le disponibilità idriche si sono fermate a 233 milioni di metri cui di acqua. E annota Gian Carlo Galletti ministro dell’Ambiente, che corrispondono oggi solo al 60% del abbisogno corrente.

Una volta ancora si profila la necessità delle “banche dell’acqua” (gli invasi per il primario uso agroalimentare e civile integrato) suggeriti negli anni Settanta e Ottanta del Novecento che nel 1980, in occasione della inaugurazione della diga sul torrente Ostola, fecero precisare a Giuseppe Bartolomei ministro dell’Agricoltura e delle Foreste, in 180 milioni di metri cubi il fabbisogno idrico locale. Il dato compare nella prefazione di Bartolomei al volume Verso l’Europa con il computer dedicato alla trasformazione della Baraggia Vercellese e Biellese (36 comuni, estensione 44 mila ettari) dove dagli anni Cinquanta del Novecento entrarono in funzione, appunto, le “Banche dell’acqua sui torrenti Ostola, Ingagna, Ravasenella che anche garantiscono acqua agli acquedotti civili. Il progetto, per ora non seguito dalle fasi esecutive, attende l’invaso in sostituzione di quello preesistente sul torrente Sessera. La precedente diga fu voluta negli anni Trenta dalla industria tessile biellese, ma ora è osteggiata da parte della popolazione locale.

Tuttavia la grande calura, non tipica a maggio e giugno seguita da devastanti gelate primaverili , ha indotto gli specialisti di meteorologia e di tutela dell’ambiente a richiamare le statistiche che anche fotografano il passato. L’assillo della mancanza d’acqua, anticamera della siccità e, a sua volta premessa per le frane, continua da mezzo secolo. Nel momento di maggiore calura, anche richiamato dal ministro Galletti, l’Italia si è ritrovata con 20 miliardi di metri cubi di acqua in meno, che ha in particolare colpito le regioni meridionali e, come si accennava, il Piemonte e la Lombardia anch’essa dotata di serbatoi naturali corrispondenti ai laghi. Lo stesso è accaduto in Europa dove il 2016, per la terza volta dal 1880, è stato il più caldo e dove, in particolare, ha coinvolto i vigneti francesi. Secondo gli annali meteorologici, la “temperatura bollente”, causa di altre conseguenze disastrose, in Italia (e in Europa) si è presentata per 27 anni: dal 2000, con picchi drammatici nel 2003, preceduti da un altro “anno orribile” nel 1997 con la terra che si spaccava sotto i piedi e che impediva alla vegetazione di svilupparsi. Proprio venti anni fa si parlò nelle aree europee di processi di desertificazione. E stando agli specialisti: il calore difficile da dominare, che anche porta a trasformare terreni da coltivare in deserto, entro la fine del secolo il calore potrebbe avere incrementi di temperatura fra i 3 e i 6 gradi. Il problema che è stato trattato all’ultimo convegno di Parigi dopo quello di Rio de Janeiro, è considerato grave, bel oltre la calura percepita dal termometro e determinata dall’umidità e da altri fattori. Il presidente americano Donald Trump, quasi ricordando come quanti si opponevano alle scoperte di Keplero(1571/1630) e di Galilei(1564/1640), riterrebbe che questi fenomeno non sarebbero veritieri e, pertanto, andrebbero trascurati.

Invece, di parere sostanzialmente diverso è l’Onu. Infatti le Nazioni Unite nel 1995 hanno istituito la “Giornata mondiale contro la desertificazione” che è stata celebrata recentemente il 17 giugno scorso, passata quasi sotto silenzio come se il tema riguardasse una sparuta minoranza. L’argomento, marginale nei grandi mass-media europei, va collocato “in primo piano” e riguarda tutti, specialmente per la prevenzione. Per esempio, a pochi è noto il fenomeno cosiddetto del flash food (le devastanti piogge improvvise, favorite come una spugna dal suolo riarso e senza umidità) che si abbattono su una o più regioni provocando allagamenti o alluvioni. In proposito, oggi circa un quinto dell’Italia viene considerato a rischio di desertificazione e fenomeni conseguenti: aree meridionali ma anche Emilia, Marche, Umbria, Abruzzo. E con meno caldo e meno pericolo di desertificazione secondo l’Onu, se globalmente ogni anno non si perdessero 24 miliardi di tonnellate di terra fertile, 15 miliari di alberi ogni ora e se, a causa della desertificazione, annualmente 1 miliardo e mezzo di persone potessero riutilizzare la “terra buona” generatrice di valido agroalimentare.

Teoricamente, nel nostro Paese i grandi sbalzi di temperatura e i fenomeni connessi incominciando proprio dalla desertificazione, dovrebbero apparire scientificamente sotto controllo. I compiti di monitoraggio sono assegnati a ben 58 istituzioni e università cui nel 2001 (D.M. 494 e 504/7303/2000) si è aggiunta Climagri. Per gli esperti siccità e desertificazione sono le nuove catastrofi del millennio. E Domenico Vento, ricercatore di Climagri, si augura, inoltre, che il lavoro della istituzione possa essere all’altezza del nostro Paese, molto importante in Europa Comunitaria

 

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