Industria della mela, la Cina guida il business nel mondo

Industria della mela, la Cina guida il business nel mondo

di Enrico Villa

Thomas Mul della Fiera di Bolzano, che ospita ogni anno Interpomona, parla esplicitamente della industria della mela. La definizione è coerente con il territorio che comprende Alto Adige e Trentino. Infatti in gioco, dall’ultima parte dell’ Ottocento ci sono quasi 19.000 ettari che, su un fronte di oltre 100 chilometri, mille aziende strappate alle paludi e all’acquitrino producono una decina di varietà di mele, gradite al consumatore e che annualmente sono inviate in Europa, Germania e Austria in particolare. Anche ogni varietà di mele va coperta con brevetto come i manufatti che escono da una fabbrica metalmeccanica.

Ma la svolta storica vera avviene nel 2005, quando le mele industriali di Bolzano e di Trento ottengono dalla Comunità Europea l’IGP. E quando, fra la decina di varietà affermate, compare la Pink Lady, anche diffusa in Emilia e nel Veneto. La Pink Lady, offerta al mercato con metodi industriali e propri del marketing, è figlia dell’incrocio fra Golden Delicious e Lady Williams, proviene dall’Australia ed è stata ottenuta nel 1973 dall’agronomo inglese John Cripps. Riferendosi a questa varietà, da anni l’esperto Kurt Werth si sofferma su due aspetti: quando si parla di mele occorre avere una visione “della globalizzazione“; inoltre, a suo giudizio, la varietà Pink Lady ha dato il via ad una nuova era. Produttori e distributori –evidenzia anche – hanno capito che oggi varietà e marchi sono tutelati e che coltivazioni e commercializzazioni esclusive aprono strade nuove.

Tuttavia anche i cinesi, primi produttori al mondo di mele (quasi 36 milioni di tonnellate annue) considerano insistentemente il prodotto alla stregua di un manufatto industriale, dal quale si ricavano un elenco nutrito di sottoprodotti preziosi. L’Interpomona alla sua decima edizione e organizzata dalla Fiera di Bolzano, ogni anno presenta macchine per i frutteti e estratti dalla mela per la cosmesi e la farmacia così come è accaduto nell’ultima edizione del 2016. I cinesi dominano sia per la ricerca e l’utilizzo che trasformano annualmente Bolzano nella sede di un congresso mondiale sulle mele. Per il prossimo mese di giugno (dal 28 al 30) l’Interpomona China Congress & Exhibition 2017 ha promosso con la collaborazione dell’Università di Scienze Agrarie di Quingdao un congresso mondiale con questo titolo: Cina e industria della mela nel mondo. I lavori faranno anche riferimento all’obbiettivo cinese nel 2020: nell’area di Shandung 400 quintali per ettaro di ottime mele con le quali invadere i mercati globali assieme alla nuova Zelanda, al Cile e al Sud Africa. Se lo sforzo riuscirà e gli obbiettivi saranno raggiunti, forse il mercato mondiale del settore si modificherà. Per ora, nel mondo si producono 75.635.283 tonnellate con la preminenza degli USA , dell’India e anche dell’Italia con 2.411.200 tonnellate e con coltivazioni in tutta la Penisola.

melaIl Piemonte dopo Alto Adige, Trentino, Emilia è in una posizione di rilievo con 195.215 ettari, e la mela rossa di Cuneo (IGP del 2013) 26.000 ettari, 700 aziende e con una potenzialità che potrebbe raggiungere 60.000 tonnellate potenziali nelle aree cuneesi e torinesi. Questo prodotto (cui sono anche state dedicate indicazioni degli agronomi sull’uso di mezzi meccanici, in sostituzione dei fitofarmaci, per favorire lo sfoltimento in alcuni cicli colturali) consentirebbe una resa superiore del 35% circa, che nella storia moderna della pomicoltura rappresenta una peculiarità, in particolare a suo tempo dovuta alla tenacia dei frutticoltori cuneesi. Inoltre la Rossa di Cuneo, unitamente alle varietà altoatesine e del Trentino, è diventata come un gioiello vegetale. Infatti, come evidenziano gli esperti, l’intera penisola è ricoperta di meleti autoctoni giunti nei secoli dall’Asia, apprezzati nel XIX secolo dalla civiltà contadina, ma comunque di scarsa produttività. Però il melo piemontese, allignato a Cavour, nell’Astigiano, nell’Alessandrino, in Valsesia e nel Biellese, presenta caratteristiche che lo collegano adesso ai meleti importanti della Pianura Padana. La mela, con nomi tratti dai dialetti, è sopravvissuta alle 1000 varietà italiane perdutesi nel tempo. Le sue tracce, interessanti botanicamente e storicamente, sono rinvenibili nel saggio Pomona Italiana del giureconsulto napoleonico Giorgio Gallesio, dato alle stampe nel 1817, ossia due secolo fa.

Gallesio (1772/1839) di origine ligure e al servizio prima dell’amministrazione napoleonica poi sabauda, in realtà si era laureato in giurisprudenza a Pavia, e si era occupato di strade e di lavori pubblici. Ma la sua passione era quella dei vegetali, in particolare delle mele, per cui tenne contatti con Mendel e Darwin. Da un punto di vista botanico, con le sue ricerche egli inquadrò alcune varietà autoctone di mela diffuse in Valsesia e nel Biellese, fra le quali la mela Carla, il pum dla biula, il pantus e il rugginoso pum d’aran che dal Biellese si diffuse nelle montagne della Valdossola. I contadini, dopo la raccolta mettevano le mele a invecchiare nelle loro cantine in attesa dell’inverno. Adesso, a confronto con la Pink Lady senza l’ausilio del marketing anche la più profumata Mela Carla sfigurerebbe assai.

 

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