In rete agricoltura e industria devono parlarsi di più

In rete agricoltura e industria devono parlarsi di più

di Enrico Villa

Impercettibile, centesimo dopo centesimo in modo strisciante i punti vendita della grande distribuzione che in Italia sono circa 20.000, aumentano i prezzi dei generi di largo consumo. Essi riguardano il latte e i suoi derivati, prima di tutto i formaggi i quali si prestano meglio alle sofisticazioni. L’Ismea tiene sotto controllo il fenomeno.

Ma come evidenziano i recenti eventi di cronaca, i pastori sardi, siciliani e del Grossetano toscano hanno versato nelle strade e in mare centinaia di litri di latte ovino indispensabile per la produzione di pecorino. Lo stesso richiamo alle autorità è stato fatto da Ettore Prandini neo presidente di Coldiretti e consistente allevatore padano di bovini da latte dal quale si trae il grana padano altro riferimento fondamentale dell’agroalimentare nazionale. Ha detto Prandini: è necessario sanare una ingiustizia profonda, rendendo più equa la catena di distribuzione degli alimenti che vede sottopagati i prodotti agricoli spesso al di sotto dei costi di produzione senza alcun beneficio dei consumatori. Quanti protestano hanno quantificato in un euro al litro il latte che, in genere nei punti vendita della grande distribuzione è mediamente al di sotto di un euro, anche quando il latte proviene dalle centrali a gestione pubblica, dalle cooperative le quali a suo tempo i pastori sardi, siciliani e grossetani seppero costituire. Alcune società della grande distribuzione si sono detti d’accordo ad aderire alla indicazione di parte agricola.

Una delle ragioni addotte dai produttori di latte dovrebbe essere ricercata nel surplus di prodotto che secondo gli osservatori agricoli riguarderebbe non il 30% bensì il 10% della produzione. E la Grande Distribuzione, su dati di Confcommercio, hanno anche considerato: la lotta un tempo irriducibile fra Grande Distribuzione e negozi di vicinato si sarebbe in parte risolta. Infatti, forse rinunciando agli acquisti a poca distanza e territoriali, il 37% dei consumatori tradizionali sta ritornando ai negozi di vicinato più specializzati di anni fa. Ne discende che l‘acquisto a chilometro zero è sempre apprezzato ma inteso in modo diverso sia per i salumi, formaggi con la prevalenza di grana padano e pecorino, la frutta. In una indagine effettuata da Confcommercio/Format sono risultati due aspetti che richiedono una evoluzione professionale degli esercenti: il negozio che sia attrezzato per consumare direttamente in loco i generi agro alimentari; e l’introduzione dell’e-commerce negli esercizi. Va tuttavia sottolineato che il food con il ricorso al digitale, già diffuso in luoghi di consumo più ampi, sarebbe per adesso ridotto allo 0,5 della spesa alimentare complessiva.

Per intenderci: lo studio di Confcommercio/Format propone esempi che si raccordano ai prodotti territoriali compresi nel chilometro zero, come il vino, gli alimenti biodinamici, i manicaretti locali, o qualsiasi altro genere difficilmente trovabile. Un grande punto di vendita inaugurato recentemente in terre da riso ha introdotto in vendita la varietà Vialone Nano adatta ai piatti dell’area della foce del fiume Po scarsamente conosciuti in Piemonte. Entrambi i piatti, secondo gli esperti di cucina, non contrastano con il pecorino sardo o laziale esportato negli Usa al 20% circa nonché in Germania, Francia, Inghilterra, Olanda, e il grana padano che prende la strada delle Americhe in quantitativi di circa 180 mila quintali. Proprio la conoscenza di questi semplici numeri consumando per strada o nei negozi di vicinato pecorino e grana padano fanno ulteriormente apprezzare due eccellenze casearie di cui si parla anche troppo per fatti di cronaca o vicende legate a truffe e sofisticazioni.

Secondo i commentatori, questo retroterra molto articolato, richiama un aspetto estremamente importante ma frequentemente trascurato: il consolidamento delle reti agricole, così definito dalla legge in materia. Recentemente l’Ismea è ritornato con uno studio sull’argomento, fra l’altro sottolineando che sotto questo profilo l’agricoltura italiana è molto gracile non riuscendo a vivacizzare, dando un ruolo diverso alle reti agricole. Per l’Ismea dal 2015/2017 l‘agricoltura è sostanzialmente cresciuta di circa il 2% mentre nell’industria alimentare la crescita negli ultimi cinque anni è stata del 3,4, con 465 mila dipendenti, diversamente da quanto è accaduto in Spagna. Adesso si potrebbe profilare un calo del 6,7% mentre per episodi che rappresentano una eccezione, in rete è mancato l’incontro operativo fra agricoltura e industria, causa delle vicende sul latte e gli altri prodotti di eccellenza italiani. Infatti (dati dell’Ismea) i contratti di rete sono stati appena 3.462 che hanno coinvolto 20.000 aziende. Troppo poco per vincere la battaglia Grande Distribuzione/ negozi di vicinato.

Foto da Alimenti e Sicurezza

e-commerce

You must be logged in to post a comment Login