Il buiatra del Duemila nelle zone rosse e con le pet-therapy

di Gianfranco Quaglia

La notizia è quasi passata inosservata, relegata con titolo a una colonna sui giornali nazionali: “Morto Vanni, il veterinario in prima linea nella zona rossa”. Nell’infodemia legata all’emergenza sanitaria, al surplus disordinato delle informazioni protese alle certezze o incertezze sui limiti, chiusure, aperture di stagioni sciistiche e quant’altro, il decesso di un veterinario passa in secondo piano. Ora che anche i medici, sino a pochi mesi fa eroi, sono additati sui social come capri espiatori. Ma Vanni Ambrosi, 66 anni, era uno dei tanti veterinari speciali. Lui a Vo’ Euganeo, prima zona rossa d’Italia, era subito sceso in campo mettendosi a disposizione degli allevatori locali, prendendosi cura degli animali. Si era dedicato all’organizzazione delle movimentazioni dai polli quando tutto era in divenire, la paura si era impossessata  di tutti, gli animali l’ultimo pensiero.

La sua scomparsa dovuta al Covid, pochi giorni fa all’ospedale di Padova, apre uno squarcio su una professione (o missione) silenziosa diventata negli anni sempre più ricercata e importante, tanto da evolversi. Un tempo i veterinari erano buiatri, perché dediti soprattutto alla cura del bestiame bovino. Ora il quadro è mutato: in una recente riunione dell’Accademia dell’Agricoltura di Torino il professor Pier Paolo Mussa ha tracciato il profilo del veterinario Terzo Millennio. In Italia sono 33.000, di cui il 46% donne, aumentate del 53 negli ultimi dieci anni. Il 15 per cento opera nei settore della salute controllo carni; un altro 15% nel settore pubblico; il 78% si occupa di animali d’affezione (cani, gatti, uccelli da gabbia ecc.). Ed è quest’ultimo comparto, le richieste connesse all’esplosione della pet-therapy, a spingere le iscrizioni nelle facoltà di veterinaria. Insomma, molti giovani hanno scoperto questa vocazione, lontana però da quella originaria del buiatra abituato a calpestare stalle. E non sempre gratificata economicamente. Se prendiamo come attendibile uno studio Censis gli studi veterinari dichiarano un reddito medio di 21 mila euro l’anno contro i 51 mila degli odontoiatri e i 65 mila dei medici.

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