Consorzi di bonifica e risaia custodi della coltre idrica

Consorzi di bonifica e risaia custodi della coltre idrica

di Enrico Villa

I nuovi consorzi irrigui, più di mille anni fa istituiti dai Romani, “anche passano” attraverso i programmi di sviluppo agricolo che, in parte, dovrebbero migliorare l’equilibrio dei territori italiani. Nella Pianura Padana, secondo i dati della Associazione Nazionale delle Bonifiche, il Piemonte e la Lombardia sono dall’Ottocento in primo piano: in tutto 42. Qui, un vero e proprio “movimento culturale” si è sviluppato più di 170 anni fa a Vercelli con l’Associazione di Irrigazione all’ovest del fiume Sesia (1853) e con l’Associazione all’est del Sesia di Novara (1923). Erano gli anni in cui sul Corriere della Sera l’economista Luigi Einaudi, scriveva i suoi articoli poi raggruppati nella “Difficile arte del banchiere” (Editori Laterza) dove si connetteva l’economia alla agricoltura. E in quegli stessi anni, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e il Novecento erano anche gli anni del bolognese Arrigo Serpieri (1877/1960) sottosegretario all’agricoltura e indiscusso padre della “bonifica italiana” che, contrastando nelle aree paludose della Pianura Padana la malaria, recuperò vaste aree alla produttività. Qui grazie alla legge 13 febbraio 1933, n.215 prese consistenza anche il Consorzio di Bonifica del Vercellese e del Biellese (36 comuni, 44 mila ettari).

Questa vicenda storica fa da premessa a un “programma di sviluppo rurale nazionale“, anche con un bando per potenziare i consorzi irrigui, che si chiuderà il 30 giugno con una dotazione finanziaria di 291 milioni di euro (20 milioni per ciascun progetto). Questo lo scopo, anche precisato dal bando di concorso: “migliorare la capacità di accumulo delle acque e le modalità di gestione delle risorse idriche a fini irrigui“. Il bando è di qualche tempo fa, dopo la Giornata mondiale delle acque, dall’ONU proclamato ogni tre anni e nella ultima edizione celebrata il 22 marzo scorso. Inoltre, nello stesso anno il Parlamento ha proposto un convegno con questo titolo ” Le Acque italiane” le quali, non regimate, procurato gravi danni con crolli e slittamenti delle colline e delle montagne.

In ogni caso, lo spunto offerto dalla Giornata mondiale dell’acqua e del convegno in Parlamento, invita a soffermarsi sul tema idrico in superficie nella Pianura Padana e altrove, ma anche sotterranee, essenziali per uso civile e per la stabilità dei nostri territori. Come ricorda in uno studio congiunto del CNR, dell’Autorità di Bacino del fiume Po e dell’Università Milano/Bicocca, nel mondo circa 700 milioni di persone non hanno acqua a sufficienza, e pertanto bisogna fare di tutto per non perderla anche con i consorzi irrigui, sia in superficie che sotterranee. E Enrico Brugnoli del CNR inquadrò con precisione quale sia il “tesoro idrico” nella sola Pianura Padana dove si forma il 40% circa del Pil agricolo: ogni anno circa 9 miliardi di metri cubi annui, del quale non se ne può fare a meno per approvvigionamento potabile (2 mila milioni di metri cubi annui); per l’industria (oltre 1.200 milioni di metri cubi annui); nonché il 17% (circa 2 mila 800 milioni di metri cubi annui). Come tante volte è stato fatto rilevare dai risicoltori e dai tecnici idraulici, la “coltre idrica” sotterranea è sistematicamente rimpinguata dalla coltivazione del riso. Senza risaie, gli acquedotti sarebbero più poveri di risorse idriche.

Una delle indicazioni prospettate dalla cooperazione CNR-autorità di bacino del fiume PO e dell’Università Milano/Bicocca è rappresentata dal “modello idrogeologico delle acque sotterranee della Pianura Padana, quale misura urgente e prioritaria” anche in riferimento all’Astigiano, al Torinese, al Bresciano e al Lodigiano. Un altro fine da perseguire è la lotta sistematica all’inquinamento che riguarda il 15% dell’acqua per usi civili, il 52% per usi industriali e il 33% per usi agricoli. Un terzo obiettivo, anche evidenziato dai provvedimenti del ministero delle Politiche Agricole, dovrebbe essere rappresentato dalla diffusione e dal potenziamento dei consorzi irrigui e di bonifica, così come propone il programma di sviluppo nazionale e il Bando relativo.

In realtà, questa specifica iniziativa, si ricollega alla storia della bonifica integrale in virtù della quale non dovrebbero essere trascurati due aspetti: investimenti non sempre garantiti, e quindi alla base di sconvolgimenti territoriali; e la volontà consorziata delle proprietà aziendali, là dove non esiste o è scarsa. Come ricorda la “Biblioteca Idraulica Italiana” forme associative per governare le acque, si manifestarono in epoca romana, medioevale e rinascimentale. Dopo l’Unità italiana, nel 1861 e negli anni giolittiani il tema, oggi connesso con la difesa del territorio, fu affrontato prima con la “Legge Baccarini” e successivamente con la “Legge Serpieri” del 1933 per coordinare i piani di bonifica. Il lavoro di Serpieri, fortemente contrario al latifondo nonché alla Comunità Europea, e primo ideatore della piccola proprietà contadina ha dato risultati, secondo un censimento nel 1976: 331 consorzi di bonifica corrispondenti a oltre 12.000 ettari, e al 41% della Penisola. In questo contesto, abbastanza concitato a causa dei latifondisti del Sud, Arrigo Serpieri, docente universitario a Firenze e a Perugia, contemporaneamente alla “bonifica integrale” fondò l’economia agricola, istituendo la Scuola superiore forestale fiorentina.

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