Perinotti: autotassiamoci per promuovere il riso italiano

Perinotti: autotassiamoci per promuovere il riso italiano

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di Gianfranco Quaglia

La crisi che attraversa il comparto riso è devastante, fa paura. Sembra un tunnel con una luce fioca, come quella che avvolge la Cripta Sant’Andrea, dove Confagricoltura Vercelli Biella, con il suo presidente Giovanni Perinotti, ha convocato gli associati per fare il punto, alla vigilia della prossima stagione. Prima di lui parlano i numeri: crollo dei prezzi che appare inarrestabile, import senza dazi per il prodotto concorrente che arriva dal Sudestasiatico. Nel sondaggio preliminare che Ente Nazionale Risi ha condotto fra i risicoltori le intenzioni di semina sono tutte improntate al ripiegamento. Come dire: inutile coltivare di più se poi siamo costretti a stoccare la merce nei magazzini o svenderla. E così le previsioni indicano una diminuzione di 12 mila ettari (-5%) rispetto al 2017 per effetto dei cali registrati per la tipologia dei Tondi (-5.700 ha), dei Lunghi A (-4.900 ha) e dei Medi (-1.800 ha), mentre risulta stabile la tipologia dei Lunghi B.

Ma è probabile che questa “dieta” autoimposta dai produttori non basti a risolvere i problemi. Così come sarà lungo – sempre che la Commissione europea accolga – il cammino per arrivare alla clausola di salvaguardia che blocchi l’import, benché lo stato dell’arte sia assolutamente negativo per tutta la risicoltura europea. Lo ha ricordato Enrico Losi (Ente Risi) commentando i dati già presentati a Bruxelles il 23 gennaio durante il Forum della risicoltura e l’incontro con gli europarlamentari. Ecco alcuni dettagli: l’importazione di riso Indica semilavorato e lavorato dalla Cambogia (Paese primo esportatore in Ue) in un anno è cresciuto dall’8 al 41%, così come sta arrivando una valanga di prodotto già impacchettato (80 mila tonnellate). Di conseguenza la superficie a Indica coltivata nell’area europea è scesa da 158 mila a 98 mila ettari. “E’ stato chiesto alla Commissione di iniziare l’indagine che porti all’applicazione della clausola -. ha detto Losi – e nel frattempo di reintrodurre i dazi. Qualora la clausola scattasse finirebbe il regime tax free e ci sarebbe la reintroduzione daziaria pe un periodo di tre anni”.

L’esenzione tarriffaria è stata concessa dall’UE ai Paesi Meno Avanzati con l’intenzione di agevolare gli agricoltori poveri del Sudest asiatico. Ma uno studio ha appurato che quel beneficio in realtà ha creato vantaggi soltanto alle multinazionali che trattano e lavorano riso e zucchero, a scapito dei contadini. Non solo: in quelle terre il lavoro in risaia viene svolto violando i diritti umani e favorendo il lavoro minorile. Insomma, esistono tutte le condizioni per modificare l’art. 29 del regolamento 278 che consentirebbe l’applicazione automatica della clausola. Oppure, come hanno ricordato con sfumature diverse gli europarlamentari Tiziana Beghin (M5S) e Angelo Ciocca (Lega Nord), chiedere che quei Paesi (come la Cambogia) siano esclusi dal novero dei PMA.

Ma nel frattempo che cosa fare? Giovanni Perinotti indica alcune ricette: “Non si può più restare con le mani in mano e attendere che la politica continui a considerarci carne da voto. Occorre organizzarci e una delle proposte potrebbe essere quella dell’autofinanziamento per promuovere il riso Made in Italy, attraverso la creazione di un fondo con le riserie interessate. Alcune hanno già risposto e sarebbero orientate in questa direzione”. Il presidente ipotizza un autofinaziamento di 10 centesimi al quintale per arrviare a una base con la quale imbastire una vera campagna pubblicitaria.

Nel dibattito è intervenuto tra gli altri Ottavio Mezza, produttore e presidente Ovest Sesia: “Se continuiamo a chiedere agli altri di salvarci rischiamo di fare la fine dell’industria tssile biellese, che oggi conta i capannoni chiusi”.

 

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