Il mais straniero che salva il Made in Italy

Il mais straniero che salva il Made in Italy

di Enrico Villa

La forte minaccia, come da un anno insiste l’Ente Nazionale Risi, arriva dal riso dell’Estremo Oriente. E ancora Agricoltura, periodico di Coltivatori Diretti (edizione Vercelli-Biella) titola così: Riso giallo, allarme rosso. L’Agricoltore, periodico di Vercelli e Biella di Confagricoltura prende in considerazione il primato un tempo del mais italiano (Zea Mais, 1753): Mais: occorre invertite la rotta. E il giornale propone anche questa considerazione: “La sfida è invertire la rotta, raccontare davvero che cosa è oggi l’agricoltura chiamata a realizzare prodotti di altissima qualità in modo sostenibile per l’ambiente“.

Non soltanto. Il neo presidente Usa, Trump, ha appena deciso di voler chiudere i “rubinetti dell’importazione” che soprattutto riguardano l’alimentare del Made in Italy: formaggi, vini, altri latticini, trasformazione di alimenti di base che sostengono l’import italiano. Di fronte a questi propositi, forte rimane un dubbio: solo le libere importazioni a mano salva e senza dazi dagli states dei loro prodotti nazionali.

Confagricoltura di Vercelli e di Biella insiste su un altro aspetto: il mercato dei cereali, mais compreso non più con il primato italiano, è in genere dominato dai grandi operatori. Questo primato che influenza i “corsi mercantili” di tutto il globo, per i cereali nel mondo è confermato dagli analisti più qualificati. Secondo il World Markets and Trade, nel biennio 2011/2012 la massa di cereali prodotta e commerciata era di 850 miliardi di tonnellate che progressivamente nel biennio 2016/2017 sono saliti a 1.025 miliardi di tonnellate. Rispetto alla situazione mondiale nella “nicchia” europea e italiana, le cose per il mais, alla base per la mangimistica, sono andate in modo diverso. Nomisma di Bologna, in un suo studio quinquennale, ha certificato che “per il mais, l’Italia perde il primato della produzione” e che negli ultimi cinque anni il calo è stato del 19% circa, con una punta massima negativa nel 2009, a causa della sospensione dell’utilizzo di neonicotinoidi e di fibronil.

In Italia il contraccolpo si è avuto nell’area di produzione al 90% di mais; vale a dire in Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli, Venezia Giulia, ed Emilia-Romagna. La situazione è stata giuridicamente e ulteriormente complicata dal mais OGM, arrivato attraverso la via delle multinazionali, ma in Italia vietato. Più naturale il contraccolpo derivante dalle importazioni, non essendo sufficiente per i mangimi la produzione nazionale intorno alle 976 mila tonnellate, insidiate dai parassiti fra i quali la diabrotica. Infatti, stando ai dati, la flessione maggiore nelle produzioni si è registrata in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. E infatti, come annota Agrofarma con riferimento a Nomisma, le importazioni di mais che incidono intorno al 21% sul consumo totale, con il 93% di origine comunitaria e il 7% di origine extracomunitaria, comprendendo anche il mais proveniente dalla Ucraina paese maisdicolo importante. Stando sempre ai calcoli statistici, gli arrivi hanno compensato la produzione interna intorno a poco più di 1 milione di ettari che – è importante – rappresentano il 10% circa delle coltivazioni italiane di maggior rilievo.

Che cosa in realtà significhi il mais, è illustrato da altre cifre talvolta trascurate, ma non sempre rendendosi conto della sua duttilità di trasformazione in cibo per gli animali (98%) in formaggi, carne, prosciutti, altri insaccati, birra, in energia e nell’industria delle materie plastiche, come ad esempio a Novara. Nel nostro Paese gli stabilimenti che dipendono dalla “materia prima mais” sono circa 700 che danno lavoro a 8.000 dipendenti i quali operano, come già accennato, in percentuale nelle seguenti regioni: Piemonte (14,3%); Lombardia (28%); Veneto (27,6%); Friuli (9,7%); Emilia-Romagna (10,1%). Sempre secondo gli studi di Nomisma, dell’Università di Milano, di Agrofarma senza mais non ci sarebbe più il prosciutto di eccellenza che Ronald Trump vorrebbe gravare di dazi. Infatti, anticipa una nota economica in riferimento a quello che potrebbe accadere nei prossimi anni. Eccola: tra le filiere di qualità più coinvolte vi è il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma e il Prosciutto San Daniele, attualmente per un valore complessivo fra i 3 e i 4 miliardi di Euro.

Il mais, come è noto portato da Cristoforo Colombo in Europa dopo la scoperta dell’America e diffuso in Europa dell’Est e dei Carpazi governato dai turchi (altro nome derivato del mais, cioè granoturco) e dalla Spagna, appartiene alla cultura non soltanto alimentare dell’Italia ed è coevo del riso, altro cereale diffuso dal Cinquecento per combattere la fame. Magistrali studi sono stati condotti nel primo Novecento dal medico e agronomo veronese Luigi Massegaglia (1874/1956), successivamente da Giovanni Levi storico torinese sul mais in Piemonte e da Franco Cazzola, Università di Bologna, che ha raccontato in dettaglio, documentando l’arrivo del mais in Italia e la sua utilizzazione alimentare. Ma in origine il mais, più che per l’economia contava per la pellagra che aveva colpito la popolazione italiana e andalusa, provocata dalla mancanza di vitamine che a lungo andare, con il cibo della polenta, il granoturco non assicura

campomais

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