Valentina, il nonno Dante e quei giorni al mulino

di Gianfranco Quaglia

Ci sono figure che vivono e vivranno sempre nella memoria collettiva di un territorio, come quella di Dante Graziosi, scomparso trent’anni fa. E’ stato uno degli ultimi veri cantori della risaia, ma anche veterinario (presidente nazionale dell’Ordine), “politico per vocazione, scrittore per passione della propria terra, testimone dei valori genuini della memoria contadina”, come recita il titolo del convegno che si è tenuto a Novara per commemorarlo, organizzato dall’Ordine provinciale dei medici veterinari. Al microfono si sono alternati Fabrizia Canepa, che presiede i veterinari in Novara, l’on. Gianni Mancuso, Roberto Cicala, i professori Ivo Zoccarato e Flaminio Addis, Emilio Bosio. Ma il ricordo più intimo e sentito è sicuramente quello di Valentina Graziosi, la nipote, giornalista e autore televisivo, consigliera comunale e già assessore. Perché tra Valentina e Dante Graziosi si era stabilito quell’arco di empatia e sintonia che solo tra nonni e nipoti può crearsi. “Ah, mio nonno! Lo ricordo bene da bambina e adolescente. Con lui andavamo al Mulino, quello che oggi è stato trasformato nel villaggio sportivo di Novarello. E’ rimasta ancora la ruota. Lì, in quel buen retiro, lui mi ha insegnato ad amare la natura dal vivo. Mi faceva prendere in mano gli anatroccoli, me li indicava quando seguivano la mamma. Scoprivo i fagiani, mi faceva salire sui pony”. Raccontata così, sembrerebbe di restituire l’immagine di un gentiluomo di campagna.

 In realtà Dante Graziosi sapeva calarsi nell’habitat che gli era più congeniale e naturale, lui professionista di livello nazionale, lui politico d’altri tempi venuto dalla risaia e assurto a caratura internazionale. E’ sufficiente scorrere il suo curriculum per afferrare i contorni: partigiano, veterinario e docente universitario, presidente dell’Ordine dei medici veterinari, parlamentare di lungo corso nelle file della Dc, sottosegretario, presidente dell’Istituto per il commercio estero che lo portava in giro per il mondo. Ancora: presidente di Coldiretti Novara e del Consorzio Agrario. Un’attività incessante e poliedrica. Ma quando tornava al suo mulino di Granozzo, paese d’origine, riprendeva il filo dei ricordi che si traducevano in manoscritti sino a diventare libri. I più noti: “La Topolino amaranto”, “Nando dell’Andromeda”, ma anche “Le mele maturavano al sole” e via via altre opere dedicate ai valori di quella terra che gli aveva dato forza, trampolino di lancio verso traguardi sognati o inattesi. Alcune di quelle testimonianze sono diventate sceneggiati televisivi. 

“Ecco, questo era mio nonno – prosegue Valentina – che parlava con naturalezza di politica, di cose e persone a me allora sconosciute e sapeva stupire e stupirsi tra una conversazione e l’altra con Roma per la nascita di un pulcino o di un anatroccolo. Mi chiamava e diceva corri, vieni a vedere! Ricordo che Ottavia, la governante, a volte lo interrompeva passando le telefonate di Forlani, Andreotti e altri politici dell’epoca….anni più tardi ho realizzato. Si rivolgeva a tutti con il tu, soprattutto agli estranei del suo territorio, e non lo faceva per supponenza. Semplicemente per entrare in contatto più diretto, così come quando faceva il veterinario e incontrava gli agricoltori nei cascinali. Qualche anno fa, dalla valigia nella quale erano custoditi molti dei suoi scritti, abbiamo trovato un appunto: parlava del cimitero di Granozzo e della visione del Monviso che si vede all’orizzonte. Un presagio, un ritorno alla terra d’origine”.

A trent’anni di distanza dal commiato di lui sono riamaste le opere letterarie, Ma anche i segni di un’attività professionale unica, come il faragallo, un ibrido che lui creò alla Facoltà di Veterinaria di Torino. Quell’esemplare impagliato, frutto di un incrocio tra la faraona e il gallo, ora viene donato al museo veterinario del capoluogo subalpino. 

 

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