Socialfarming, quando l’agricoltura è sociale

Socialfarming, quando l’agricoltura è sociale

socialfarming di Enrico Villa

L’agricoltura sociale non ha ancora trovato una definizione. Terapeutica contro gli handicappati più sfortunati? Ripresa per curare, immergendo quanti hanno problemi di salute nell’atmosfera bucolica, richiamata nel Settecento, dalle prime schiere degli illuministi francesi, base per le rivoluzioni sociali ottocentesche e del XX secolo? Una risposta ai quesiti è ancora in attesa da parte della sociologia. La Carta di Milano, presentata in occasione della inaugurazione il primo maggio di Expo 2015, e sottoscritta da un centinaio di istituzioni internazionali, fra cui diverse branche della Fao di Roma, strumento operativo dell’Onu contro la fame e la salute, attende ancora una catalogazione da cui partire per sviluppare aspetti scientifici credibili, importante riferimento per gli studiosi.

Nei giorni scorsi, il testo della Carta di Milano si è aperto con una definizione impegnativa di quello che nel secolo appena incominciato il globo dovrebbe fare per preservarlo in funzione delle nuove generazioni. Ecco il distico, tratto dall’human Developtment Report 2011: “Salvaguardare il futuro del pianeta e il diritto delle generazioni future del mondo intero a vivere esistenze prospere e appaganti è la grande sfida per lo sviluppo del 21° secolo. Comprendere i legami fra la sostenibilità ambientale ed equità è essenziale se vogliamo espandere le libertà umane per le generazioni attuali e future”. In questo stesso distico è sintetizzato quanto si propone Expo 2015, incominciando dai prossimi sei anni 2014/2020: diritto al cibo che si conquista con le proprie libertà civili le quali, resa reale la sostenibilità limitano i condizionamenti ancora presenti in diverse parti dl globo. Forte è stato il discorso di apertura di Expo 2015 di Papa Fancesco il quale ha ricordato quanto è evidenziato nel capitolo Noi riteniamo inaccettabilechedella Carta di Milano: il ruolo fondamentale delle donne nella società rurale in ogni angolo del mondo; la fame cronica di 800 milioni di persone; 1,3 miliardi di tonnellate di cibo prodotto per il consumo umano che si perdono nella filiera alimentare; i 5 milioni di ettari di foresta che scompaiono ogni anno, grave attentato alla biodiversità, alle popolazioni locali e all’equilibrio del clima; il 30% circa del pescato, eccessivo e che non ha più la sua capacità di rigenerazione; l’utilizzo delle fonti di energia, indispensabili, senza caricarne l’onere sulle popolazioni locali della Terra.

Nell’altro capitolo Siamo consapevoli che della Carta di Milano, si insiste sulla corretta educazione alimentare, a partire dall’infanzia, è fondamentale per uno stile vita sano e una migliore qualità della vita. A questo in tutta Europa tende l’ agricoltura sociale ottenibile tramite l’ambiente rurale e le imprese agricole destinate nei prossimi anni a diventare palestre per il lavoro di quanti sono estranei alla ruralità o ai poli terapeutici come, in parte, sta già avvenendo in Germania, Francia, Irlanda e in alcune aree del Belgio fiammingo. Su questa stessa via si stanno mettendo le regioni italiane cui competerà di attuare, con specifici bandi, i piani di sviluppo rurale. Un indirizzo del genere è già stato deliberato dalla Giunta regionale del Piemonte, presieduta da Sergio Chiamparino. La conferma di quanto lavoro ci attende per il cibo è sintetizzato da Giorgio Ferrero, assessore alla agricoltura, caccia e pesca del Piemonte. “Il nostro impegno -argomenta Giogio Ferrereriguarda la qualità del cibo che mangiamo che non è connesso solo alla qualità dei prodotti agroalimentari, ma dipende anche dalle abitudini alimentari, spesso cattive, dagli stili di vita, da una dimensione quotidiana che molte volte trascura il buono e il bello che ci viene dalla nostra tradizione enogatronomica”. Queste lacune evidenziate da Ferrero, possono essere colmate da una agricoltura sociale cui anche è riferita nella Carta di Milano e nei tanti convegni regionali svoltisi in Italia, specie nelle regioni del centro sud. L’ultimo, in ordine di tempo, ha avuto luogo a Matera il 12 marzo. Non solo. Agricoltura, periodico di argomento agricolo della Regione Piemonte all’agricoltura sociale ha dedicato un ampio servizio firmato dal funzionario regionale Ludovica Crolle dove, fra l’altro, si evidenziano le incertezze sulla materia e quanto si prepara a fare la Regione Piemonte, aggiungendo altri tasselli ad opera della Coltivatori Diretti regionale, la prima che in Piemonte credette a questa nuova materia e cercò di svilupparla.

In ogni caso l’agricoltura sociale viene da lontano. Se ne parlò per la prima volta non solo nelle facoltà di sociologia italiane(Trento, Milano) bensì nel 2009 nel convegno internazionale di Quebec. Tre anni dopo, il 5 ebbraio 2013, il Cese ( Comitato economico e sociale euopeo) a Bruxelles tentò una prima definizione di agricoltura sociale, vale a dire un assieme di attività di riabilitazione, terapie, posti di lavoro protetti, apprendimento. “Scopo dell’agricoltura sociale – èla definizione del CESE – è, fra l’altro, creare le condizioni, all’interno di una azienda agricola, che consentano a persone con esigenze specifiche di prendere parte alle attività quotidiane di una fattoria, al fine di assicurarne lo sviluppo e la realizzazione individuale e di migliorare il loro benessere”. Un disegno di legge sull’agricoltura sociale è in attesa in Parlamento. A livello europeo, su stimolo del Cese, sono imminenti norme per un quadro per i paesi dell’Ue, una banca dati comunitaria e programmi di ricerca e di formazione infra partner.

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