Ricercatori, docenti, imprenditori, sul testo dell’agricoltura bio: così non va

Ricercatori, docenti, imprenditori, sul testo dell’agricoltura bio: così non va

Oltre 60 docenti universitari, ricercatori, accademici, tecnici e imprenditori agricoli italiani, preoccupati della deriva culturale e della carenza tecnica che caratterizza il dibattito politico sull’agricoltura, hanno sottoscritto un documento inviato ai membri della Camera e del Sesnato. Fra i sottoscrittori anche il dottore agronomo Flavio Barozzi (Società Agraria di Lombardia), di Confienza (Pavia), che ci ha inviato, unitamente al documento, anche alcune sue considerazioni.biodiversità

di Flavio Barozzi

Desidero precisare che questa iniziativa non vuole essere un atto contrario a pratiche come l’agricoltura “biologica” o “biodinamica”. Le quali rappresentano processi produttivi (e non prodotti) che hanno il diritto di esistere e di essere praticati e normati. A due condizioni:

1- che esse siano praticate dagli agricoltori ed utilizzate dai consumatori per loro scelta libera e consapevole, e non imposte da qualche forma di potere impedendo al tempo stesso le pratiche di agricoltura “tecnologica”

2- che siano praticate seriamente e non siano strumenti speculativi, ma che al contrario siano assoggettate sistema di controllo effettivo e non basato, come quello attualmente in vigore, su soggetti privati in cui il controllore è pagato dal controllato.

Credo di interpretare il sentimento degli amici e colleghi estensori e sottoscrittori del documento ribadendo che questo vuole essere un contributo costruttivo ad un confronto che deve avere come obiettivo la sostenibilità in senso lato dell’attività agricola, che si realizza attraverso un uso efficiente, per quanto possibile ottimale, e stabilmente prolungato nel tempo di risorse disponibili ma non riproducibili quali suolo, acqua ed aria. Quindi attraverso un uso razionale della tecnologia, della ricerca e dell’innovazione, e non attraverso “decrescite” inevitabilmente infelici. Su questo punto ci pare esista un gap culturale che merita di essere colmato, in particolare da parte del legislatore (“conoscere per deliberare”, come diceva Einaudi, sembra oggi un concetto piuttosto desueto…). Forse l’iniziativa non sortirà alcun effetto, anche perchè “numericamente” limitata. Tuttavia, come diceva oggi un opinionista dell’Istituto Bruno Leoni, talvoltà la “forza abrasiva delle minoranze” ottiene risultati inaspettati.

NOTE AL TESTO UNIFICATO SULL’AGRICOLTURA BIOLOGICA – PER UNA CONDIVISA ATTENZIONE AI TEMI DELL’INNOVAZIONE IN AGRICOLTURA

Il presente documento è stato sottoscritto da 66 fra docenti universitari, ricercatori e imprenditori agricoli. La lista dei firmatari è riportata in calce al documento.

CONSIDERAZIONI GENERALI

Come ricercatori, docenti universitari e imprenditori agricoli abbiamo seguito il dibattito sull’agricoltura biologica e biodinamica in corso presso il nostro Parlamento. Siamo consapevoli dello sforzo fatto dai membri della Camera nel confrontarsi con un sistema complesso come quello agricolo-alimentare che abbraccia l’intero pianeta gestendo 1,5 miliardi di ettari di arativi con circa 950 milioni di aziende agricole. Con analogo sforzo ci siamo impegnati ad approfondire le tematiche emerse nel corso del dibattito adottando come punto di riferimento gli interventi dei Deputati nel corso della seduta del 10 dicembre scorso, dedicata al testo di legge unificato relativo al biologico, poi approvato nella seduta dell’11 dicembre. Di tali interventi abbiamo apprezzato la volontà di calarsi nel sistema agricolo globale e italiano. Tuttavia, la nostra lunga esperienza professionale maturata sul campo, nei laboratori e nelle aule universitarie ci ha permesso di notare quanto di critico è emerso, e che desideriamo di seguito evidenziare con la speranza che quelli che ai nostri occhi appaiono come errori di analisi e di prospettiva dovuti a un’insufficiente conoscenza del sistema vengano considerati e si giunga ad una sintesi che tenga conto dei valori fondanti del nostro sistema agricolo-alimentare.

Il settore agricolo-alimentare sarà nei prossimi anni chiamato ad affrontare l’enorme sfida di garantire sicurezza alimentare ad un’umanità che nel 2050 raggiungerà i 10 miliardi di abitanti, che per oltre il 60% saranno inurbati, e in un contesto che vede la risorsa suolo sempre più limitata. Per vincere tale sfida non è sufficiente fare appello ai valori della tradizione ma occorre viceversa mirare all’integrazione di tutte le tecnologie di precisione oggi disponibili per migliorare la sostenibilità e sicurezza delle produzioni agricole (genomica, nuove biotecnologie, proteomica metabolomica, tecniche di difesa integrata, RNAi, informatica, robotica, micro-fertirrigazione, ecc.). Con riferimento a ciò, le tecnologie per molti versi obsolete proposte in biologico si pongono più che altro come uno sprone verso gli obiettivi di sostenibilità ambientale e socio-economica propri dell’agricoltura nel suo complesso.

A tale riguardo è essenziale adottare un approccio basato sul concetto di scala dei fenomeni come elemento fondante di una visione agro-ecologica dei problemi. In virtù di tale concetto non ci si deve accontentare di una “sostenibilità locale” (ammesso e non concesso che la stessa sia dimostrata), ma occorre altresì valutare la “sostenibilità globale” di un modello produttivo agricolo.

Su quest’ultimo tema occorre sottolineare come tutte le prove indichino che la sostenibilità globale del biologico/biodinamico (in breve “bio”) sia minata dal fatto che in pieno campo esso produce molto meno rispetto al convenzionale (Academie d’agriculture de France, 2018; Kniss, 2016) in virtù della minore efficacia della lotta alle malerbe, della nutrizione e della difesa fitosanitaria. Da ciò deriva che se si convertisse a bio l’intera agricoltura mondiale, sarebbe necessario circa il doppio delle terre, al momento indisponibili perché occupate da praterie naturali e foreste. Se poi decidessimo di procurarci nuove terre, questo sarebbe possibile solo a seguito della distruzione di interi ecosistemi e comporterebbe altresì il quadruplicamento delle emissioni di gas serra in virtù dei dissodamenti di foreste e praterie che si renderebbero necessari.

Tali considerazioni emergono in modo lampante da svariati lavori scientifici tra cui quello di Burney pubblicato nel 2010 sui Proceedings della National Academy of Sciences e quello di Searchinger, pubblicato su Nature nel 2018.

ANALISI CRITICA DEI PRINCIPALI CONCETTI ESPRESSI DAI RELATORI IN SEDE DI DIBATTITO

1) Nel regolamento UE “biologico e biodinamico” sono messi sullo stesso piano: riteniamo questo particolarmente grave a livello culturale perché in tal modo si perora il ritorno di pratiche a base magica in agricoltura, in analogia con quanto accade con la pranoterapia in medicina.

2) Nel dibattito parlamentare alcuni relatori hanno sostenuto che “il biologico utilizza prodotti fitosanitari ecocompatibili”: è qui necessario chiarire ai cittadini che chi coltiva biologico usa “pesticidi”, più o meno tossici a seconda del bersaglio, esattamente come fa l’agricoltura integrata, che peraltro usa anch’essa il rame, anche se in quantitativi sensibilmente inferiori, disponendo di molte valide alternative. In sostanza, “bio” non è affatto “migliore” né tantomeno avulso da chimica come il copione imposto dal marketing sembra imporre. Occorre anche dire che contrapporre “naturale” e “sintetico”in termini di salubrità non ha senso: essere naturale non implica infatti essere poco tossico; essere di sintesi non implica essere velenoso per forza. Da ciò discende che occorre valutare ogni singola molecola per tutta una serie di aspetti tossicologici e ambientali che spesso confermano che la naturalità dei prodotti impiegati nel bio non evita profili tossicologici critici per l’uomo e l’ambiente. A tale riguardo, eccezion fatta per il rame che in bio viene usato in quantitativi eccessivi, non è che le altre molecole usate in bio abbiano una tossicità acuta particolarmente elevata. È semmai il profilo ecotossicologico dei prodotti usati in bio a risultare a volte preoccupante su api, flora e fauna del suolo e organismi acquatici: le piretrine sono letali, pur avendo il vantaggio di degradarsi in fretta; anche spinosad è tossico per le api, ma solo per contatto diretto; il rame è tossico per gli organismi acquatici e presenta influenze negative apprezzabili su api e lombrichi. Inoltre il rame è in sostanza “eterno”, persistendo nel terreno per tempi indefiniti e lasciando dunque un’eredità inquietante alle future generazioni.

3) Nella discussione parlamentare si è sostenuto che il biologico promuove la salubrità del terreno basandosi sulla produzione di humus, senza evidenziare che in questo aspetto risiede una delle maggiori contraddizioni di tale tecnologia. Infatti, le aziende biologiche, attualmente, non disponendo nella maggior parte dei casi di allevamento di bestiame, attingono (quando e come possono) a letame e altri concimi organici provenienti dalla filiera convenzionale, la quale li produce tramite pratiche (uso di concimi di sintesi, di fitofarmaci non ammessi in biologico, di mangimi per il bestiame che spesso contengono OGM) agronomicamente razionali ma fieramente avversate dai biologici. In altre parole, il biologico si nutre quotidianamente di prodotti non biologici. Una legislazione più coerente obbligherebbe gli agricoltori biologici a far uso solo e unicamente del letame autoprodotto e quindi al ritorno generalizzato alla zootecnia.

4) Si plaude al divieto di usare il termine “biologico” per i prodotti accidentalmente “contaminati da OGM”: eppure la “contaminazione” è sistematica; basti pensare che, per concimare, il biologico attinge a sostanza organica prodotta da allevamenti “convenzionali” nei quali il bestiame è frequentemente alimentato con mangimi concentrati contenenti OGM.

5) Nessuno (nemmeno i parlamentari “di sinistra”) ha evidenziato la natura profondamente classista di queste forme di agricoltura (biologico e biodinamico). Come ci si può prendere cura dei cittadini delle classi meno abbienti con una proposta di legge volta a incentivare un’agricoltura che, se seriamente praticata:

– presenta prezzi al dettaglio 2-3 volte più elevati rispetto a quelli dei prodotti dell’agricoltura convenzionale/integrata

– presenta livelli di sicurezza alimentare (safety) non garantiti da un sistema di controlli con caratteri di terzietà rispetto al produttore

– necessita di un flusso continuo di contributi (la legge prevede l’istituzione di un fondo per lo sviluppo delle produzioni biologiche – art.9)

6) Si è plaudito all’attività sementiera “creativa” introdotta con questo testo di legge. Ci chiediamo come si pensi di organizzare un sistema sementiero moderno (e che tuteli l’agricoltore che acquista le sementi in termini di germinabilità, energia germinativa e purezza specifica) fondandolo su presupposti tanto arretrati e contrari alla normativa sementiera caratteristica dei paesi evoluti. Il libero scambio delle sementi e la selezione partecipata si tradurranno inevitabilmente in perdita di biodiversità, di produttività e di qualità dei prodotti. L’esperienza pregressa ci dice infatti che affidare direttamente ai produttori l’attività di selezione e di conservazione di varietà di piante coltivate porta a rilevantissime perdite di risorse genetiche e presenta rischi di diffusione di malattie, che qualora assumessero carattere endemico potrebbero compromettere intere aree di produzione (al riguardo sarebbe opportuno riflettere sul significato assunto dalle iniziative di “fitoiatria partecipata” nell’evoluzione del caso Xylella). Ciò si traduce inoltre nel fallimento degli obiettivi di miglioramento quali-quantitativo delle varietà coltivate stesse. Peraltro nel nuovo sistema è impossibile immaginare un agricoltore che “si produca” l’ibrido di mais o quelli di pomodoro, peperone, oggi richiestissimi dal mercato. Inoltre pare che si auspichi il ritorno alle vecchie varietà di mais vitreo con resa di non più di 2 tonnellate/ettaro a fronte delle 12 tonnellate/ettaro medie degli ibridi oggi coltivati (che poi nel biologico “vero” calano a 6 tonnellate/ettaro). Sono dati di questo tipo che dovrebbero impensierire un legislatore realmente interessato al futuro produttivo della nostra agricoltura.

7) È mancata totalmente un’analisi economica riferita a cosa accadrà al crescere del settore biologico in termini di sovranità alimentare o di tutela del Made in Italy. Già oggi il nostro Paese non ha l’autosufficienza, in quanto produciamo solo il 70% di quanto consumiamo

Se crescesse il bio si ridurrebbero ancora di più le rese delle nostre terre e quindi dovremmo importare di più. Già oggi si registrano circa 1,7 miliardi di euro di import annuo di grano tenero e grano duro necessari per pane, pasta, biscotti, ecc. (dato 2017 – http://www.worldstopexports.com/wheatimports-by-country/) e circa 2 miliardi di euro di import di mangimi (in parte OGM) per i nostri allevamenti da cui arrivano le materie prime per due fra i principali punti di forza del made in Italy nel mondo: i prosciutti crudi e i formaggi grana. Lo stesso biologico italiano, non riuscendo a soddisfare la domanda interna che esso stesso ha creato, ha causato un crescente flusso di prodotti e materie prime “bio” da Paesi stranieri, con tutta l’aleatorietà che ciò comporta sulla reale

8) L’idea di un fondo alimentato dai produttori di fitofarmaci esteso a prodotti con pericolo di inquinamento per l’ambiente acquatico dimentica che la tossicità per gli organismi acquatici è caratteristica precipua di molti prodotti usati in biologico (es: solfato di rame, azadiractina, piretro, spinosa per cui si crea un meccanismo circolare che premia il bio “in quanto” inquinatore degli ambienti acquatici.

9) Nel testo della proposta di legge si parla dell’introduzione di specifici corsi formativi nelle università pubbliche, dai corsi di laurea ai dottorati di ricerca ai corsi di formazione. I corsi di laurea in Scienze Agrarie sono già ampiamente finalizzati alla formazione su conoscenze, pratiche e sistemi di coltivazione sostenibili e sicuri. Corsi di formazione sulle pratiche dell’agricoltura biologica risulterebbero fortemente limitativi vuoi perché riferiti a tematiche e pratiche non in grado di garantire efficienza produttiva e sicurezza vuoi perché escluderebbero intere materiefondamentali sia per le conoscenze degli agronomi (tra cui la chimica di sintesi e la geneticabiotecnologie), sia per garantire prospettive di sviluppo basate sull’innovazione. Per quanto riguarda poi la biologia, verrebbero completamente escluse le biotecnologie, forzando la chiusura di corsi di laurea e linee di ricerca fondamentali e richieste da molti studenti. Al legislatore pare sia sfuggito il fatto che se il biodinamico è un’agricoltura a base esoterica, il biologico segna in sostanza il ritorno alle tecnologie agricole di fine ‘800. Da ciò deriva che i Dottori in Scienze Agrarie prodotti dagli attuali corsi di laurea sono perfettamente in grado di adeguarsi all’arretramento tecnologico imposto dal biologico, come immaginiamo accadrebbe agli ingegneri cui fosse richiesto di progettare automobili o case con le tecniche di un secolo fa. Sul piano etico dobbiamo tuttavia domandarci che senso abbia formare professionisti che ignorino oltre un secolo di progresso scientifico e tecnologico.

10) L’armamentario di strutture territoriali partecipative (distretti, biologici, organizzazioni interprofessionali, piani nazionali per le sementi biologiche) è a nostro avviso spropositato e si associa a una insufficiente analisi in merito al regime dei controlli e delle sanzioni, che è l’elemento più critico del biologico italiano, essendo affidato a organismi pagati dai produttori bio e che dunque non hanno carattere di terzietà, come specificheremo più avanti.

11) La promozione del biologico e la stessa politica sementiera che emergono dal testo di legge approvato alla Camera porteranno ad una sensibile frammentazione dell’offerta, che penalizzerà la nostra industria agro-alimentare spingendola ulteriormente ad approvvigionarsi di materia prima dai mercati esteri, da cui già oggi attinge il 30-40% del frumento per pane e pasta e il 35% dei mangimi zootecnici. È indubbio infatti che l’industria necessita di partite di dimensioni adeguate ed omogenee sul piano qualitativo: il contrario di quanto si ricaverà dal sistema che la proposta di legge mira a promuovere.

12) La ricerca: per migliorare la sostenibilità e sicurezza in agricoltura non basta stimolare la ricerca in agronomia e agroecologia, ma occorre viceversa un’ampia interdisciplinarietà su tutte le tematiche (comprese biologia, genetica, meccanica, ecc.); solo in questo modo si potranno sviluppare sistemi sostenibili e caratterizzati da elevata efficienza produttiva e sicurezza.

I LUOGHI COMUNI E GLI SLOGAN

Per affrontare tematiche complesse riferite all’agro-ecosistema occorrerebbe adottare un approccio di tipo quantitativo. Per contro, il dibattito alla Camera è stato segnato da una serie di luoghi comuni di cui alcuni sono qui di seguito riproposti, accompagnati da brevi note di commento critico:

– i prodotti del biologico non sono trattati chimicamente: questo non corrisponde al vero, in

quanto il biologico fa largo ricorso alla chimica per i trattamenti alle colture.

– i prodotti chimici usati in biologico non sono di sintesi: ciò in vari casi non risulta corretto.

Infatti il solfato e l’ossicloruro di rame sono frutto di sintesi condotte da industrie chimiche (https://it.wikipedia.org/wiki/Solfato_rameico) e anche lo zolfo è in larga misura frutto della desolforazione dei combustibili fossili ottenuta mediante reazioni chimiche

( https://www.aspiz.it/lo-zolfo/lo-zolfo-in-italia.html).

– interesse nazionale: non comprendiamo quale “interesse nazionale” si colga nella riduzione della produzione che avverrà con certezza con la progressiva espansione dell’agricoltura biologica. Tale fenomeno renderà sempre più un miraggio la tanto decantata “sovranità alimentare”, rendendo peraltro sempre più arduo additare come “eccellenze nazionali” prodotti alimentari derivanti da materie prime importate in quota sempre maggiore.

riduzione delle emissioni di gas serra: tale affermazione viene smentita da autorevoli analisi condotte su scala globale e citate in sede di “considerazioni generali” (Burney, 2010; Searchinger,2018).

lotta allo spopolamento: lo spopolamento delle aree rurali si combatte permettendo la crescita di un’imprenditoria realmente competitiva e cioè basata sullo sviluppo di filiere di produzione di elevata efficienza perché adattate alle caratteristiche pedoclimatiche dei diversi areali, capaci di valorizzare le risorse del territorio e di inserirsi sul mercato in modo utile per garantire reddito agli agricoltori. Solo questa agricoltura, diversamente da un biologico altamente sovvenzionato, può essere garanzia di sviluppo per i nostri territori.

un importante tassello nella riforma dell’intero sistema agro-alimentare: la riforma del sistema agricolo-alimentare italiano dovrebbe partire dalla presa d’atto dei suoi elementi di debolezza, come ad esempio l’eccessiva frammentazione delle aziende e la debolezza o assenza di servizi territoriali allo stato dell’arte (sementiero, di gestione dei reflui, pedologico, agrometeorologico, ecc.) che sono necessari a promuovere uno sviluppo agricolo fondato su tecnologie aggiornate.

equo e solidale: non comprendiamo cosa ci sia di “equo e solidale” in prodotti che costano il doppio o il triplo rispetto a quelli dell’agricoltura integrata, senza presentare concreti vantaggi in termini di qualità.

il biologico come fattore di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici: ciò è semplicemente falso, trattandosi di un’agricoltura che in caso di sua adozione generalizzata a livello mondiale produrrebbe il quadruplicamento delle emissioni di gas a effetto serra come abbiamo dimostrato in sede di “considerazioni generali”. Peraltro ci meravigliamo che chi si vanta di possedere una visione agro-ecologica possa incorrere in simili errori. Vedasi il recente studio su Nature (Searchinger, 2018) richiamato all’inizio di questo testo.

– conoscenze tradizionali: la “tradizione” ha garantito per millenni fame e sottosviluppo a larga parte della popolazione italiana. Se abbiamo raggiunto un’aspettativa di vita media di 82 anni in Italia (70 a livello mondiale) lo dobbiamo all’agricoltura tecnologica, oltre che all’assistenza medica ed alla maggior salubrità dei luoghi in cui viviamo e lavoriamo.

– produttori biologici abbandonati: riteniamo sia vero il contrario, in quanto l’agricoltura biologica riceve annualmente circa 1,8 miliardi di Euro (come più ampiamente analizzato nel paragrafo dedicato al “problema dei controlli”) specificamente indirizzati a finanziare la misura 11 dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), che si aggiunge all’accesso agevolato ai fondi destinati a tutti gli agricoltori.

– puntare sulla qualità, non sulla quantità: se fossimo un Paese con surplus alimentari come Danimarca, Francia e Ungheria un tale affermazione sarebbe comprensibile mentre ci appare del tutto inadeguata per un Paese come l’Italia afflitta da livelli declinanti di autosufficienza alimentare,.

– rinunciare all’utilizzo dei pesticidi: in proposito crediamo sarebbe illuminante ascoltare i produttori di vino, di uva da tavola e mele, per i quali rinunciare ai fitofarmaci significherebbe perdere ogni produzione. Ma va tenuto presente che anche i viticoltori biologici, senza i pesticidi rameici, perderebbero ogni produzione. Inoltre, non si considera che le nuove strategie genetiche potrebbero consentire di ridurre drasticamente l’impiego di prodotti fitosanitari. Al riguardo si tenga presente che la direttiva comunitaria che regola l’agricoltura integrata (Directive 2009/128/EC –

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32009L0128) offre un quadro normativo molto più preciso e sicuro circa l’utilizzo dei presidi fitosanitari in agricoltura, con livelli di controllo assai più elevati rispetto a quelli dell’agricoltura biologica, che sono prevalentemente autocertificati.

– l’agricoltore biologico che deve difendersi dai pesticidi usati dal vicino: poiché vi sono molte aziende ibride, con una parte coltivata in maniera convenzionale e un’altra dedicata al biologico in virtù dei sussidi a esso garantiti, è sempre più diffusa la situazione paradossale per cui “l’agricoltore biologico deve difendersi da se stesso”. Se vale il principio della difesa di campi “diversamente” coltivati, crediamo sia necessario difendere anche gli imprenditori innovatori che attuano un’agricoltura integrata secondo le vigenti regole e non desiderano che i loro campi siano colpiti dai “pesticidi” distribuiti in grandi quantità sulle coltivazioni biologiche adiacenti. Inoltre, pensiamo ai possibili rischi di contaminazione delle falde con il rame o all’aumento dell’invasività di patogeni e/o di malerbe per le limitate pratiche di controllo fitosanitario sulle colture biologiche. Gli agricoltori biologici ben sanno, in molti casi, di trarre vantaggio dalla difesa garantita da chi, intorno a loro, effettua una difesa razionale contro patogeni, parassiti e malerbe, fenomeno che nel caso specifico degli insetti parassiti per gli Stati Uniti d’America è stato posto in evidenza da Dively in un articolo scientifico pubblicato nel 2018.

– rifiuto degli OGM: perché chiudere la porta “a priori” a nuove tecniche di miglioramento genetico che anche solo applicate all’ottenimento di varietà con resistenze genetiche contribuirebbero alla drastica riduzione dei trattamenti fitosanitari?

– Diffondere il biologico nelle mense: al di là dell’assenza di benefici per l’alimentazione e l’ambiente, e dei problemi di contaminazione e di frodi, ci pare importante segnalare la possibile scarsa diversificazione di prodotti, soprattutto nel periodo invernale, per cui nelle mense alimentate da prodotti bio può risultare difficile fornire menu capaci di soddisfare le esigenze nutrizionali dei bambini. A meno ovviamente di utilizzare grandi quantità di prodotti bio d’importazione, amplificando il cortocircuito commerciale sopra menzionato in termini di sovranità alimentare.

– Aumentare i contributi: riteniamo che quella dei contributi sia una “droga” che porta a sperperare i soldi dei contribuenti, anestetizzare l’innovazione e creare sistemi insostenibili sul piano economico e sociale, oltre a favorire frodi e deviazioni di vario genere e natura.

I CONTROLLI SUI PRODOTTI BIO (UN VULNUS IRRISOLTO) E I FINANZIAMENTI DISPONIBILI MA NON RECLAMATI

L’impianto del ddl approvato alla Camera lo scorso 11 dicembre non affronta il nodo del sistema di controllo che, come dimostrano ricorrenti scandali sul “falso bio” (anche recenti cfr.

http://www.veronasera.it/cronaca/guadagno-tre-milioni-euro-vendita-falsi-prodotti-bio-roverchiara

16-novembre-2018.html ), presenta diverse lacune. Il fatto che il Mipaaft deleghi a organismi controllori privati, pagati dal controllato, un aspetto tanto delicato meriterebbe una riflessione circa un conflitto d’interessi che non è stato certo risolto dal Decreto Legislativo n.20 del 23 febbraio 2018.

Il documento dell’Ufficio Studi della Camera sui finanziamenti PAC all’agricoltura biologica

(https://temi.camera.it/leg18/dossier/OCD18-10664/scheda.html), pur con un errore metodologico di fondo (non esplicita cioè chiaramente che questi fondi non sono gli unici stanziati per l’agricoltura biologica, ma rappresentano incentivi che si sommano ai pagamenti diretti che i coltivatori bio ricevono in proporzione alla superficie coltivata, come qualsiasi agricoltore attivo in Italia, cui va aggiunta la possibilità di accedere con priorità di punteggio a tutte le misure per lo sviluppo rurale), contiene un dato su cui riflettere, allorché afferma che per il settore del biologico sono stanziati 963 mln di euro cui si aggiunge una quota di cofinanziamento nazionale per complessivi 1.800 mln di euro. Di tale somma risultano spesi al primo trimestre 2018 (quindi ben oltre la metà del periodo di programmazione 2014-2020) appena 555,4 mln (ovvero solo il 30,85%).

Perché gli agricoltori chiedono in maniera così modesta i fondi destinati al bio dai Programmi di Sviluppo Rurale? Un’ipotesi è che il settore non sia così attrattivo come presentato, un’altra è quella per cui i controlli sul biologico nei PSR sono effettuati da dipendenti pubblici effettivamente terzi e non da privati pagati dal controllato. Un dubbio che viene rafforzato da dati come quello della Lombardia dove su circa 2000 produttori “bio” iscritti a Sinab, solo 370 circa hanno fatto domanda di accesso alla misura 11 del PSR. Senza un chiarimento di questo aspetto, che è nell’interesse di tutti i produttori onesti (“convenzionali” o biologici che siano) e soprattutto dei consumatori, ogni impianto legislativo rischia di essere fallimentare. Questo è un punto su cui ci permettiamo di richiamare con forza l’attenzione del legislatore.

CONCLUSIONI

Il resoconto del dibattito parlamentare del 10 dicembre scorso mostra come una Camera del Parlamento italiano abbia legiferato in materia di agricoltura tralasciando molte considerazioni qualitative e quantitative che sarebbero state, a nostro avviso, necessarie per una comprensione “a tutto tondo” dell’argomento. Ci auguriamo che il Senato possa mostrare un più elevato livello di attenzione alle istanze di un’agricoltura che per mantenersi competitiva merita da parte di chi legifera un’attenta valutazione dei dati disponibili e un atteggiamento culturale aperto all’innovazione nei campi della genetica e delle tecniche colturali e rispettoso della libertà di innovare nelle nostre imprese e nei nostri stessi centri di ricerca. Non possiamo tuttavia concludere questa nostra analisi senza ribadire che il settore agricolo-alimentare sarà nei prossimi anni chiamato ad affrontare l’enorme sfida di garantire sicurezza alimentare ad un’umanità che nel 2050 raggiungerà i 10 miliardi di abitanti, che per oltre il 60% saranno inurbati, e in un contesto che vede la risorsa suolo sempre più limitata. Per vincere tale sfida non sarà sufficiente fare appello ai valori della tradizione ma si dovrà viceversa mirare ad una agricoltura integrata, intendendo con ciò un modello di agricoltura che integri in modo armonico le conoscenze e le migliori tecnologie che la ricerca scientifica mette a nostra disposizione oltre all’agronomia e all’agroecologia. Con riferimento a ciò, le tecnologie per molti versi obsolete usate nel biologico e alle quali fa riferimento la proposta di legge in discussione si pongono più che altro come uno sprone verso gli obiettivi di sostenibilità ambientale e socio-economica propri dell’agricoltura nel suo complesso.

BIBLIOGRAFIA CITATA NEL TESTO

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Dively etal 2018 Regional pest suppression associated with widespread Bt maize adoption benefits vegetable growers, Proceedings of the National Academy of Sciences, March 27, 2018 115 (13) 3320-3325

Kniss A.R., Savage S.D., Jabbour R., 2016. Commercial Crop Yields Reveal Strengths and

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Timothy D. Searchinger, Stefan Wirsenius, Tim Beringer & Patrice Dumas, 2018. Assessing the efficiency of changes in land use for mitigating climate change, Nature, Vol. 564, pp. 249–253.

ESTENSORI E FIRMATARI

Alessandro Alessandrini, Agricoltore, Ancona

Lodovico Alfieri – laureato in Scienze Agrarie – Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura, Milano

Associazione Regionale Pugliese dei Tecnici e Ricercatori in Agricoltura, c/o Europe Direct Puglia, Bari

Elena Baraldi, Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari – Università di Bologna

Flavio Barozzi, Dottore agronomo, Società Agraria di Lombardia

Daniele Bassi, Ordinario di Arboricoltura, DISAA, Università degli Studi di Milano

Maurizio Antonio Battino, DISCO-Università Politecnica delle Marche, Ancona

Giuseppe Bertoni, Ordinario di Zootecnia Speciale e già Direttore dell’Ist. Di Zootecnia UCSC di Piacenza

Luigi Besozzi, Dottore Agronomo e Imprenditore Agricolo

Antonio Biancardi, Imprenditore Agricolo, Lodi

Franco Biondini, Agricoltore, Montefano, Ancona

Egidio Bongiorni, Dottore Agronomo, Società Agraria di Lombardia.

Lamberto Borrelli, Dottore in Scienze Agrarie, Esperto in foraggicoltura

Alessandro Bozzini, Dottore Agronomo, già Dirigente FAO.

Ettore Cantù, Dottore agronomo, già Presidente di Confagricoltura Lombardia e di ERSAF Lombardia, Presidente

Onorario della Società Agraria di Lombardia

Franco Capocasa, D3A-Università Politecnica delle Marche, Ancona

Antonio Casana, Dottore Agronomo e Amministratore delegato SOLANA – Lodi

Dario Casati, Ordinario di Economia e Politica Agraria, Università degli Studi di Milano

Agostino Cella, Dottore agronomo

Danila Cianciosi, DISCO-Università Politecnica delle Marche, Ancona

Maurizio Cocucci, Emerito di Fisiologia Vegetale, DISAA, Università degli Studi di Milano

Luca Corelli Grappadelli, Ordinario di Arboricoltura, DISTAL – Università di Bologna

Matteo Crovetto, Ordinario di Nutrizione e alimentazione animale, Università degli studi di Milano

Roberto Defez, Istituto di Genetica e Biofisica – CNR, Napoli

Luca Dondini, Ordinario di Arboricoltura, DISTAL – Università di Bologna

Marco Fabbri, Dottore Agronomo, già Presidente Ordine dottori agronomi e dei dottori forestali di Milano

Osvaldo Failla, Ordinario di Viticoltura, DISAA – Università degli Studi di Milano

Giovanni Ferrari, Dottore Agronomo, Lodi

Aldo Ferrero, Ordinario di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee, Università degli Studi di Torino

Dario Gianfranco Frisio, Ordinario di Economia e Politica Agraria, Università degli Studi di Milano

Ausilio Galimberti, Dottore Agronomo Cremona

Massimiliano Gasparrini, D3A-Università Politecnica delle Marche, Ancona

Francesca Giampieri, DISCO-Università Politecnica delle Marche, Ancona

Green Farm – azienda agricola, Ancona

Alberto Guidorzi, Dottore in Scienze Agrarie, Mantova

Guido Leopardi, Agricoltore, Osimo, Ancona

Michele Lodigiani, Agricoltore e Dottore Agronomo, Piacenza

Tommaso Maggiore, Ord. di Agronomia Generale e Colt. Erbacee, DISAA – Università degli Studi di Milano

Società Agraria di Lombardia, Federazione Italiana Dottori in Scienze Agrarie e Forestali

Luigi Mariani, Società Agraria di Lombardia, DISAA – Università degli Studi di Milano

Francesco Marino – Dottore Agronomo, Firenze

Simona Masiero, Dipartimento di Bioscienze, Università degli Studi di Milano

Rossano Massai, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali, Università degli Studi di Pisa

Bruno Mezzetti, D3A, Università Politecnica delle Marche – Disa

Piero Morandini, Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, Università degli Studi di Milano

Oriano Navacchi, Vitroplant Italia, Cesena

Tiziana Pandolfini, Dipartimento di Biotecnologie, Università di Verona

Marco Aurelio Pasti, Agricoltore, Padova

Paolo Pesaresi, Dipartimento di Bioscienze, Università degli studi di Milano

Deborah Piovan, Agricoltore, Padova

Luigi Rossi, Presidente Federazione Italiana Dottori in Scienze Agrarie e Forestali, Roma

Silvia Sabbadini, D3A-Università Politecnica delle Marche, Ancona

Francesco Salamini, Ordinario Di Genetica Agraria, Università degli studi di Milano, Accademico dei Lincei

Donatello Sandroni, Dottore in Scienze Agrarie, Divulgatore scientifico

Anna Sandrucci, Ass. di Zootecnia Speciale, Università degli Studi di Milano – Disaa

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Giuseppe Sarasso, dottore agronomo, imprenditore agricolo, Accademia di Agricoltura di Torino

Ugo Scuro, Studio Legale Scuro & Partners, Roma

Andrea Sonnino, dirigente Enea e ex dirigente FAO

Antonella Stacchiotti, Azienda vivaistica Innesti Leopardi srl, Montefano, Ancona

Michele Stanca, Docente di Genetica agraria, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Stefano Tartarini, DISTAL – Alma Mater Studiorum, Università di Bologna

Livio Trainotti, Dipartimento di Biologia e Orto Botanico, Università di Padova

Zeno Varanini, Dipartimento di Biotecnologie, Università di Verona

Antonio Venturi, Dottore in Scienze Agrarie, Esperto settore Viticolo, Ravenna

Ignazio Verde, CREA, Roma

Alessandro Vitale, IBBA – CNR, Milano

Anita Zamboni, Dipartimento di Biotecnologie, Università di Verona

Il presente documento potrà essere liberamente distribuito dagli estensori e dai destinatari

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