Quelli del Nord hanno fame d’Europa

di Gianfranco Quaglia

Che cosa si pensa e si guarda quando sono pronunciati i nomi di due dei più blasonati vini italiani, come Barolo e Barbaresco? Il pensiero va immediatamente alle colline del Sud Piemonte, dove il Nebbiolo dà vita a questi due nettari. Alle Langhe, al Roero, al Monferrato. Non è solo così. Il Nebbiolo, invece, respira l’aria che scende dal Monte Rosa, se ne nutre. Anzi, secondo molti, sarebbe nato proprio sulle colline del Piemonte orientale, che ha celebrato la sua festa nel castello di Novara, con il “Taste Alto Piemonte”, a cui hanno aderito 52 aziende.

I suoi alfieri si chiamano Ghemme e Gattinara (le due Docg), ma anche Sizzano, Fara, Boca, Lessona, Bramaterra. E, su su, sino al Prunent delle Valli Ossolane, ai confini con la Svizzera. Un mondo enoico che sino a qualche anno fa si affacciava con timidezza al cospetto dei colossi della viticoltura italiana, quelli dei grandi numeri. Ora può esibire carta d’identità e biglietti da visita che raggiungono il resto d’Europa e altri continenti. Non tanto per massa critica quanto per qualità. Tanti, tanti anni fa avevano visto giusto Virgilio, Strabone, che citavano già questi vitigni. Ma anche Columella, scrittore romano del primo secolo D.C., autore del più completo trattato sull’agricoltura dell’antichità, il “De Rustica”, definiva il vitigno Nebbiolo come “Grappoli di uva nera che danno vino da località fredde” dal sapore di pece. Ecco, l’Alto Piemonte, che oggi punta a ottenere un prestigioso riconoscimento, insieme con Gran Monferrato: diventare territorio europeo del vino 2024. Una enoregione. La candidatura è fortemente sostenuta dal Consorzio di tutela Alto Piemonte, presieduto da Andrea Fontana. Portata avanti con decisione da Stefano Vercelloni, vicepresidente nazionale Città del Vino di cui è alla guida in Piemonte. Vercelloni ci crede molto: “Abbiamo tutte le carte in regola, l’idea di unirci al Monferrato ci dà forza e ragione”.

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