Qualità prima di tutto. Lo chiede il 60% degli italiani

Qualità prima di tutto. Lo chiede il 60% degli italiani

di Enrico Villa

qualitàL’ 80% degli italiani è preoccupato per gli alimenti di cui si nutre e vorrebbe che lo scenario cambiasse in meglio. Sulla base di questo dato, l’annuario del 2015 della scienza della tecnologia e della società, presentato a Torino nello scorso mese di febbraio, è arrivato a questa conclusione. L’annuario alla sua undicesima edizione, edito da Il Mulino con il sostegno della Compagnia di San Paolo, è stato presentato nella sede del Circolo torinese dei lettori. E i molti aspetti statistici esaminati hanno suscitato forte attenzione, come del resto era accaduto nelle precedenti edizioni dell’annuario, curato da Giuseppe Pellegrini e Barbara Saracino. Ma l’ edizione 2015, allora a poco più di tre mesi dall’inaugurazione dell’Expo 2015 di Milano/Rho, per il comportamento descritto dei consumatori del nostro Paese nonché del loro atteggiamento nei confronti dell’informazione e della comunicazione è, in realtà, diventata una anticipazione assai convincente della grande esposizione universale che promuoverà il cibo, elemento fondamentale in tutto il mondo. Difatti, dietro le cifre aride, che comunque tratteggiano una panoramica complessa del cibo e della salute ( così il leit motiv dell’annuario) si staglia l’universo, altrettanto complesso, dell’agroalimentare italiano ed europeo sempre in sofferenza e che le categorie agricole economiche vorrebbero che rientrasse nella piena normalità. Come quotidianamente ribadiscono gli esperti del comparto, non è così per i prezzi all’origine troppo esigui, elevati alla distribuzione e che, quasi sempre, non compensano lavoro e investimenti delle aziende.
L’aspirazione alla qualità prima di tutto dei consumatori, da costruire nei prossimi quindici/venti anni, se riferita all’agroalimentare richiama il concreto sfruttamento di strumenti importanti di politica economica, in primo luogo la Pac (Politica agricola comunitaria) appena avviata e i suoi complementi come i piani di sviluppo agricolo. Un pilastro di questa costruzione strategica, che a giudizio di Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti e di Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, proprio dal 2015 potrebbe cambiare volto, sarà rappresentato dalle Filiere di prodotto, effettivamente in grado di comprendere tutte le componenti attive per un unico obiettivo condiviso: l’equo plusvalore, appunto rispetto al lavoro e ai capitali investiti. Il 27 novembre dello scorso anno la Regione Piemonte, di cui è assessore all’agricoltura Giorgio Ferrero, al complesso, variegato e in parte ancora nebuloso argomento delle Filiere agroalimentari ha dedicato un apposito convegno. I lavori hanno considerato quanto, in proposito, è stato fatto in Toscana e in Veneto e quanto si prepara a fare il Piemonte, specialmente in relazione allo strumento dei prossimi piani di sviluppo agricolo dal 2015 al 2020. L’aspetto della qualità prima di tutto è stato preminente nelle impostazioni adottate nei provvedimenti agroalimentari toscani e veneti dell’immediato passato. E la qualità prima di tutto sarà un obbiettivo preminente in Piemonte nei prossimi cinque anni con i piani di sviluppo agricolo.
Al convegno della Regione Piemonte, con spirito critico è anche stato sollevato il quesito “la filiera è una chimera?” addirittura diventata un titolo della pubblicazione ufficiale Agricoltura. Le diverse relazioni hanno però dato una risposta negativa, a patto che si utilizzino nel modo dovuto i pif, o i progetti integrati di filiera che nel quinquennio 2007/ 2013 nel nostro Paese sono stati 376, con un importo complessivo di 800 milioni di euro e che hanno coinvolto 13 mila soggetti. Nel prossimo quinquennio, le filiere agroalimentari, come ad esempio in Piemonte, dovranno ancor più essere strutturate sui gal ( gruppi di azione locale), sui facilitatori ( enti pubblici), sui garanti (categorie e banche), sui protagonisti ( imprese), sulle filiere lunghe e corte soprattutto nelle aree collinari e montane. I vantaggi maggiori, se le filiere saranno così impostate, andranno proprio alle produzioni di qualità territoriali, in primis dop e igp. “La filiera – annota Moreno Soster, responsabile del settore della programmazione e valorizzazione del sistema agroalimentare piemontese – ha un obbiettivo principalmente economico e di competitività interaziendale, basato sulla condivisione delle attività e lo sviluppo delle capacità relazionali, legato alla sostenibilità di un preciso ambito territoriale. Concettualmente questo significa privilegiare alcuni elementi di base”. E, in futuro anche significherà aumentare la percentuale dei consumatori i quali, già adesso secondo l’ annuario scientifico tecnologico e sociale, al 60% privilegiano la qualità, indipendentemente dal prezzo e dal marchio. Con prezzo equo e marchio ottenuto dalla filiera il vantaggio sarebbe ancora maggiore.

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