Primatisti del bio, ma non tutto è made in Italy

di Gianfranco Quaglia

Bio? Rigorosamente. Così verrebbe da rispondere parafrasando un noto spot televisivo. Il boom del biologico e soprattutto la tendenza dei consumatori ormai spopolano. Tanto che anche il regalo natalizio deve essere assolutamente biologico: dalla confezione di peperoncini sino alla stella di Natale. Negli ultimi dieci anni le preferenze dei consumatori per il prodotto bio hanno subito un’impennata: +75 per cento. E secondo un’indagine Nomisma tra il 2010 e il 2018 le insegne della grande distribuzione con referenze bio sono aumentate del 144%. Ancora: il numero medio di referenze bio presenti in un punto vendita della gdo fanno segnare una crescita astronomica: 431%. Lo scorso anno l’intero comparto ha generato in Italia vendite per 3.562 milioni di euro (+8%). L’Italia, con circa 2 milioni gli ettari di superficie biologica e 80 mila addetti, è leader in Europa: l’incidenza dei terreni con coltivazioni biologiche rappresentano il 15 per cento della superficie agricola utilizzabile, al di sopra della media europea.

Insomma, un record assoluto, che sta cambiando non soltanto i consumatori, ma tutto il sistema agricolo, orientato a coltivare con un’attenzione sempre maggiore a favore dell’ambiente e della cosiddetta sostenibilità. Ma c’è un problema, sottolineato da Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti Piemonte: la domanda di biologico è così alta e esponenziale che l’offerta Made in Italy non riesce ancora a soddisfarla. In altre parole: parte del cibo bio che arriva nei supermercati e sulle tavole italiane non proviene dai nostri campi, ma è di importazione. E l’Italia rischia di diventare un grande centro di trasformazione dei prodotti importati. Ecco perché sarebbe necessaria una più larga e rapida conversione dei terreni.

 

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