Paradosso piemontese. Ricchi di oro blu ma la falda è povera

di Gianfranco Quaglia

E’ stato definito “Il paradosso piemontese”. Preziose portate idriche stanno scorrendo nei fiumi e nei canali (compreso il grande Cavour) senza essere utilizzate sul territorio. Sotto accusa la tecnica delle semine del “riso in asciutto” utilizzata ormai sempre di più dagli agricoltori, molto anche in Lomellina. Se ne parla ormai da anni, ma ora – anziché un apparente vantaggio – è diventato un problema. A lanciare l’allarme l’Associazione irrigua Est Sesia e l’Anbi (Associazione nazionale consorzi gestione tutela territorio e acque irrigue). Il paradosso consiste proprio in una cattiva interpretazione del concetto di risparmio idrico, come sottolinea il presidente nazionale Francesco Vincenzi. Il mancato ricorso alla sommersione tradizionale delle risaie, che “disegnava” il classico “mare a quadretti”, riduce infatti anche la possibilità di alimentare la falda freatica. In alcune zone della Lomellina, i freatimetri, cioè i dispositivi che monitorano il livello dell’acqua, sono asciutti. In altre aree il livello della falda è stazionario dai primi di febbraio e sempre sotto la media degli ultimi dieci anni. Il rischio di tutto ciò è che nel periodo di maggior richiesta di acqua e bagnature (mese di giugno) l’apporto idrico sarà insufficiente, come già accaduto lo scorso anno. Insomma, una situazione d’emergenza che non si vede ma esiste. Il direttore generale di Anbi, Massimo Gargano, non esita a puntare il dito: “Le nuove tecniche colturali in asciutta non solo stanno pregiudicando un ambiente, candidato a patrimonio Unesco, ma mettono in crisi la gestione idrica con il paradosso, appunto, che l’acqua nel frattempo invece di essere immagazzinata dalle falde corre verso il mare”. Si calcola che se si tornasse alle antiche abitudini, cioè la tradizionale semina in acqua su almeno il 50% della superficie, si accumulerebbe in falda una risorsa di circa 300 milioni di metri cubi di oro blu.

 

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