Ogm vietati, anzi no Italia bocciata dalla Corte europea

di Gianfranco Quaglia

Ogm (organismi geneticamente modificati). “Cibo di Frankestein” come qualcuno ha definito le nuove frontiere di semi e coltivazioni nati in laboratorio. L’Italia, con altri 16 Paesi, ne aveva vietato la semina anche se autorizzata a livello di Unione Europea. Il decreto interministeriale adottato era chiaro: stop categorico alla coltivazione, in base al principio di precauzione. In altre parole: in attesa di certezze comprovate, ossia che gli Ogm non sono dannosi alla salute dell’uomo e degli animali, meglio soprassedere e vietare. Ma ora la Corte di Giustizia europea ha ribaltato tutto, stravolgendo proprio quel principio precauzionale: la sentenza, che invece di spegnere sta alimentando la polemica e i dubbi, prevede che il divieto di coltivazione per prodotti geneticamente modificati può essere deciso solo qualora sia accertato che questi possano comportare un grave rischio per la salute umana, degli animali o per l’ambiente. In base a questo verdetto la Commissione e gli Stati membri non hanno la facoltà di adottare misure di emergenza quali il divieto di coltivazione, come era accaduto proprio in Italia nel 2013, allorché era intervenuta per il caso di Giorgio Fidenato, l’agricoltore friulano penalmente perseguito perché aveva piantato mais ogm autorizzato dall’Ue nonostante l’esistenza del decreto che ne vietava la coltivazione in Italia. L’imprenditore si era rivolto alla Corte di giustizia, che ora si è espressa rimettendo tutto in discussione. In sostanza il verdetto dice che quel decreto adottato in Italia era illegittimo, perché il principio di precauzione deve basarsi sulla certezza dell’esistenza del rischio, in quanto gli Ogm sono oggetto di una valutazione scientifica ancora prima di essere immessi sul mercato. Quindi avrebbero già passato l’esame. Ma la legge è controversa: una direttiva Ue del 2015 dà facoltà ai paesi membri di imporre lo stop alle colture con il dna modificato. Possibilità adottata dall’Italia e da altri 16 paesi, che ora risultano tutti bocciati dalla sentenza della Corte. E’ il caso di dirlo: un pasticcio che invece di fare chiarezza aumenta la confusione, sia fra i coltivatori sia fra i consumatori.

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