Oche, santi e tradizioni: la memoria che non va rimossa

Oche, santi e tradizioni: la memoria che non va rimossa

di Enrico Villa

I tedeschi, secondo una statistica, consumano pro capite dodici oche all’anno che significano 80 chilogrammi del bianco pennuto. Il dato è impreciso, perché il calcolo ufficiale è riferito per intero agli avicoli dei 27 partner europei: il 35% della intera carne avicola acquistata la quale significa circa 32,3 chilogrammi pro capite di polli, galline, anatre. In Italia, nel calcolo bisogna anche annoverare le oche di Mirano (nel Veneziano) ma soprattutto le oche di Mortara e della Lomellina, un dop esistente in mezzo al riso di una delle aree risicole più importanti di Europa che un tempo era un complemento dei fitofarmaci. Infatti, le oche sono divoratrici di erbe infestanti. Le oche di Mortara, o della Lomellina, hanno una storia alimentare e gastronomica importante con le radici nel 1400, ai tempi di Ludovico il Moro che nella sua azienda di Vigevano avviò gli esperimenti di coltivazione del riso. La carne del pennuto allevato in Lomellina serve per confezionare, anche con la sua pelle, i salami d’oca che tanto erano graditi alle comunità israelitiche. Come evidenzia nel 2014 una relazione sul salame d’oca, originariamente esso nell’impasto non conteneva carne di maiale, vietata dalla religione ebraica. Alla fine dell’Ottocento il cuoco Pellegrino Artusi raccontando nel suo libro di ricette la cucina italiana, diede dignità gastronomica all’oca e al suo salame. Anche per il pennuto, oltre che per i suini sacrificati a novembre per una antica tradizione agricola, non si getta via niente. Così è anche per il piumaggio gradito nei paesi del Nord Europa per le trapunte, o per variazioni gastronomiche utilizzando il fegato e altre parti per i patè che piacciono molto ai francesi. Le prospettive commerciali del salame d’oca indussero i macellai di Mortara e della Lomellina ad istituire un consorzio di produttori che nel 1967 divenne importante con l’adesione di 25 aziende. La relazione del 2014 sul salame d’oca, evidenzia che nelle fasi di maggior fulgore del Consorzio, era prodotto ogni anno intorno ai mille quintali di salume insaccato, per cui Mortara e i suoi prodotti principali del Pavese (riso, salame d’oca, vino bonarda del vicino Oltrepo) sono diventati una molla potente per i molti appassionati di enogastronomia.

San Martino (Sabaria316/Tours397), che cade venerdì undici novembre, per una leggenda è il santo delle oche. Ma non solo. Come ricorda la storia europea dei popoli agricoli è il santo cui si riferiscono gli eventi meteorologici, la giurisprudenza agraria, i proverbi rurali che, a loro volta, fanno riferimento alle produzioni più importanti del territorio come il vino, la poesia, lo spettacolare gioco dell’oca in piazza a Misano e l’arte pittorica. Una traccia si ritrova in tutti quei comuni (150 circa) in cui la Chiesa e la gente dedicò la parrocchia a San Martino. Tra questi comuni, Casanova Elvo (Vercelli), Langosco (Pavia), Palestro (Pavia), San Martino Siccomario (Pavia). In quasi tutti impera la risicoltura e la coltivazione del mais con i quali si ingrassano le oche. San Martino, che soldato romano nel 335 tagliò il suo mantello per darne un lembo ad un povero vittima del gelo immenso di quell’anno, per i racconti popolari è anche diventato il santo delle oche che si consumano anche in Germania nel mese di novembre. Infatti il soldato Martino, riluttante a diventare vescovo di Tours nella valle della Loira, si nascose in una stalla di oche. I pennuti starnazzarono, il popolo lo ritrovò e i pennuti furono riferiti a lui. Così, come per saggezza popolare nacque il proverbio A San Martino ogni mosto diventa vino . E sempre a San Martino, il trasloco obbligatorio da una cascina all’altra connotò, appunto, la fine di contratti agrari per incominciare altri patti agrari della livella, della mezzadria, dell’ affitto come è adesso. La certificazione laica di San Martino, santo europeo con riferimento a tutti i prodotti autunnali (vino, castagne e altro) è avvenuto nel 2009 quando Ungheria e Repubblica di Slovenia (il loro santo protettore nazionale) hanno ottenuto dalla Ue la via di San Martino che collega Italia e Germania. Essa idealmente traccia il percorso che comprende Assisi con gli affreschi di Simone Martini (1284/1344) o del cretese El Greco (1541/1614) che con la tavola di rara potenza figurativa San Martino e il mendicante (Galleria di Washington) rappresenta oggi una Europa che sta ricercando faticosamente coesione e solidarietà tra i 27 partner.

Ma la sintesi del tutto (ambiente da difendere, prodotti autunnali e agricoltura preminente) viene da San Martino, scritta di getto da Giosuè Carducci (1835/1907). Il poeta nel 1883, ne La nebbia agli irti colli piovviginando sale…, rappresenta la natura, con al centro il vino e i neri uccelli migratori, ambiente apparentemente contradditorio ma da tutelare. Carducci, in un viaggio a Roma, prese a modello i versi di Ippolito Nievo, scritti a metà dell’Ottocento e che valorizzavano la natura in cui, tanti secoli prima, era calata l’epoca della civiltà agricola europea di san Martino, asceta ungherese della antica Pannonia e in Europa fondatore di conventi importanti come il convento di Maormoutier.

 oche

You must be logged in to post a comment Login