Mutagenesi non è Ogm ma la scienza nel piatto ha bisogno di certezze

di Gianfranco Quaglia

Il cibo del futuro (ma anche quello del presente) frutto di una mutagenisi oppure di organismi geneticamente modificati (leggi Ogm o, come qualcuno l’ha definito, cibo di Frankestein)? La domanda è più che mai attuale, considerata la confusione ingenerata dalle notizie e dalla recente sentenza della Corte di Giustizia d’Europa che ha portato più dubbi che certezze. Tanto che la Basf, la multinazionale tedesca con forte presenza in Italia (dove ha creato una nuova linea di riso a marchio Clearfield, resistente agli attacchi parassitari, ottenuta con metodi di mutagenesi convenzionale nell’ambito della selezione vegetale) è intervenuta ufficialmente: nulla da spartire con gli Ogm. La precisazione si è resa necessaria dopo gli attacchi e le polemiche scoppiate anche in Consiglio Regionale del Piemonte. In altre parole: non c’è presenza di riso Ogm nelle risaie piemontesi.

Il fatto è che occorre fare maggiore chiarezza. E lo dice anche anche Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo: “Il 10 ottobre incontrerò il Commissario alla salute e alla sicurezza alimentare, Andriukaitis, per chiarimenti sulle nuove tecniche varietali, non Ogm, che rappresentano la chiave per garantire un futuro alle piccole e grandi aziende agricole europee. La sentenza della Corte di Giustizia rischia di equiparare dal punto di vista normativo gli organismi o le varietà di piante ottenute dall’incrocio della stessa specie (quindi senza inserire un Dna estraneo) agli organismi geneticamente modificati che invece presentano un patrimonio genetico inesistente in natura e che l’85% degli italiani non vogliono. Chiederò quindi al Commissario di rimettere mano alla legislazione europea secondo cui la madre di tutti gli errori è stato non aver definito nella normativa Ue le tecniche che fanno riferimento agli Ogm, carenza di cui oggi ne fa le spese anche il più tradizionale degli incroci varietali. Eppure abbiamo bisogno di miglioramento genetico non Ogm per rispondere ai cambiamenti climatici, alle sfide agricole e alimentari del futuro per non dipendere più dalle grandi multinazionali”.

Insomma, ben venga la scienza nel piatto, ma quella a viso aperto, codificata e garantista. 

 

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