Miele in trincea contro vespa vellutina e concorrenza, ma vince la fantasia

Miele in trincea contro vespa vellutina e concorrenza, ma vince la fantasia

apicoltoridi Enrico Villa

Il risotto all’italiana con l’aggiunta, alla fine, di un cucchiaio di miele al coriandolo. Ecco, il piatto fumante è pronto per il cenone di Natale o di Capodanno. Il miele, per tradizione adatto per alcuni piatti, anche con la nuova cucina non è diffuso, nonostante ormai numerose ricette si rintraccino sul web, sperimentalmente preparate da appassionati. Nel libro sacro di Pellegrino Artusi (Forlimpopoli 1820/Firenze 1911) il miele aveva un posto di tutto rispetto, però per i dolci e le elaborazioni di fantasia.

Ma nella Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene (anno 1891, Artusi) il miele era posto su un trono gastronomico con altri ingredienti – ad esempio da kilometro zero come l’aglio della nostra orticoltura o il peperoncino – tuttavia in genere relegato ai dolci e alle paste elaborate: con frutta, con i frullini, con i ravioli. Anche un risotto principe di Pellegrino Artusi, conosciuto come il risotto alla cacciatora, aveva dentro tutto ma non il miele. Poi le tante variazioni sul tema arrivarono con le ricette dalla Romagna attraverso gare appassionate. Ad esempio, il risotto al coriandolo (pianta con le bacche profumate) inventato in un apposito concorso dai cuochi di Cervia, promosso per ricordare Artusi. Questi era un “uomo di lettere”, passato razionalmente alla gastronomia scientifica e razionale che soleva esaltare i piatti elaborati, non trascurando la chimica e la fisica, oltre che la inventiva come se un piatto fosse un dipinto, così come fanno oggi i tanti cuochi stellati. Proprio Pellegrino Artusi, che nel 1851, si trovò a contrastare il brigante Passatore (Stefano Pelloni) soleva sentenziare: amo il bello e il buono, appunto come i suoi piatti con sfumature romantiche degli scrittori del suo tempo, Ugo Foscolo e Giuseppe Giusti.

La rivalutazione moderna del miele, prodigio della Natura, in cucina nella pasticceria e nella cosmetica, è avvenuto sia da un punto di vista biologico-culturale che sotto il profilo economico. Prima, molti fitofarmaci sono stati accusati di essere responsabili della morte delle api operaie. Poi è arrivata la micidiale vespa vellutina che uccide le api, impedendo loro di entrare nelle cellette delle arnie. In ogni caso l’apicoltura (valutazione delle organizzazioni agricole) ha superato nel 2016 un anno difficile, anche sopportando i mutamenti ambientali dovuti alla meteorologia e all’aumento della temperatura. Il prezzo, inoltre, è pagato dalle coltivazioni agricole perché le api, con l’impollinazione, danno un insostituibile aiuto naturale agli agricoltori. Dati richiamati dall’ AIPA (più Confindustria e Istat) in Italia si producono, adesso, circa diecimila tonnellate di miele per un valore di circa 60 milioni di euro, con una esportazione di circa 9.000 tonnellate sempre più insidiate dalle massicce importazioni on-line cinesi della piattaforma Alibababa e una importazione di 16.000 circa, oltre che dalla Cina dalla Romania, dall’Argentina, dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Germania. Fra le controindicazioni all’importazione è annoverato anche il pericolo presunto di OGM dove non è vietato ma regolarmente non denunciato sulle etichette apposte sui vasetti. Secondo Campagna Amica) un vasetto su due di miele in vendita nei supermercati è di importazione. E questo danneggia le 50 mila aziende di apicoltura italiane, con preminenza in Lombardia (139 mila alveari circa) e Piemonte (114 mila alveari) che gestiscono con le altre regioni alveari popolati da 55 miliardi di api. A questi vanno aggiunti gli allevatori per hobby. In questi ultimi casi gli alpicultori, che in ogni caso richiedono un minimo di cultura biologica, si stanno diffondendo in Italia. Recentemente anche l’Università del Piemonte Orientale, nella facoltà di farmacia di Novara ha istituito un organismo di controllo, aggregato ad una istituzione internazionale, per vigilare sulla salubrità alimentare del riso e del miele, tenendo appunto conto delle tradizioni territoriali nonché ribadendo il valore del binomio cereale-miele, già proposto dai risotti al miele.

Dal punto di vista della nutrizione, in Italia e non solo, il miele è ancora posto in una nicchia economica. Infatti 100 grammi di miele garantiscono a quanti intendono praticare una dieta salutare, circa 300 calorie. Tuttavia, nonostante il citato parametro nutrizionale, il consumo pro capite annuo di miele oscilla fra i 230 e i 400 grammi che in realtà non incidono molto sui consumi. Fra i grandi esportatori, anche i cinesi consumano pro-capite 92 grammi, i messicani 300 grammi, gli argentini 200 grammi, gli americani 575 grammi, i canadesi 870 grammi. Soltanto la Germania, oltre all’esportazione, si distingue per i consumi: 1.100 grammi pro-capite all’anno. I tedeschi e diversi paesi nordici consolidano un poco le statistiche. In Europa, gli apicoltori, che secondo gli esperti svolgono l’attività a fini economici e ricavano un reddito rilevante dell’attività, sono 7.500 circa, vale a dire circa il 15% degli apicoltori italiani. Da questo settore, rilevante sotto il profilo dietetico, potrebbe derivare un maggior impiego del miele, nel 2016 in maggiore difficoltà stagionale, con un affinamento non soltanto regionale del risotto in base al cibo degli dei, come è chiamato il miele, donato dai 55 miliardi di api aggredite dai prodotti chimici nonché ultimamente dalle vespe vellutine.

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