L’inverno del riso dolce ma dietro l’angolo c’è il sapore d’amaro

di Gianfranco Quaglia

Tutti gli indicatori sono positivi, quantomeno soddisfacenti. «Non accadeva da anni – dice Paolo Carrà, presidente dell’Ente Nazionale Risi – che a fine gennaio avessimo collocato circa il 50 per cento della disponibilità vendibile». In altre parole: rimangono nei magazzini soltanto 710 mila tonnellate, ma se l’andamento è quello fin qui registrato, è presumibile che a metà primavera le scorte saranno esaurite. vendute sia sul mercato interno che all’estero. Insomma, un inverno da ricordare, dolce non solo sotto il profilo meteo, per i risicoltori che venivano da una stagione amara, contrassegnata da polemiche, importazioni selvagge e incontrollate, preoccupazioni.
Ma che cosa accade? Perché nel giro di pochi mesi la situazione di negatività si è capovolta? Persino i prezzi, sino a poco tempo fa insufficienti a coprire i costi aziendali, oggi si mantengono su livelli accettabili. Le principali piazze del riso (Vercelli in testa) fanno registrare quotazioni remunerative, anche le varietà Indica (sottostimate per molti mesi) sono risalite a 280 euro la tonnellata. Molteplici le spiegazioni: innanzitutto una minore produzione che ha favorito la richiesta, un mercato gestito in modo più oculato, l’andamento del dollaro che ha spinto l’export, l’effetto Turchia «affamata» di riso made in Italy, in particolare la varietà Baldo. Messi tutti in fila, questi fattori hanno determinato una svolta insperata che ripaga di tante attese e delusioni, della rabbia accumulata durante la scorsa estate quando la filiera risicola scese in piazza per contrastare la valanga di riso provenienti dal sudest asiatico.
Eppure questo ottimismo non deve ingannare e depistare. I problemi – ammonisce Carrà – rimangono sul tappeto. A cominciare dalla clausola di salvaguardia non ancora considerata, perché se la Cambogia diversifica le sue esportazioni risparmiando in parte l’Europa, si è fatto avanti con prepotenza il Myanmar. Altre questioni aperte: i negoziati con l’India, il Ttip con gli Stati Uniti. Infine, ma non ultimo, un diverso approccio. Il presidente dell’Ente Nazionale Risi fa l’autocritica del settore: «Non possiamo pensare di superare i nostri problemi solo affidandoci a soluzioni esterne. Bene la lotta all’import, l’etichettatura. Ma dobbiamo modificare anche usi e costumi, fare l’analisi dei costi aziendali, rivedere il sistema della commercializzazione».
L’inverno dovrebbe essere il tempo della riflessione, non solo del letargo.

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