L’estate dei fichi secchi del medico in famiglia

di Gianfranco Quaglia

giulioscarpati«Mia madre mi chiamava Giulio il pazzo». Erano gli anni in cui Giulio Scarpati, il celeberrimo Lele Martini di «Medico in famiglia», trascorreva le lunghe estati a Licosa, nel Cilento, patria della dieta mediterranea. Giulio non aveva ancora manifestato quelle attitudini che più tardi lo avrebbero consacrato attore di successo nelle fiction televisive, nel cinema e in teatro. La «pazzia» di quel ragazzo che all’inizio di ogni estate si trasferiva da Roma per trascorrere le vacanze con la famiglia (un fratello, una sorella, la madre insegnante di inglese, il padre avvocato) era legata al suo esuberante e imprevedibile iperattivismo, alla fantasia, all’innata capacità di calarsi nel mondo contadino. Perché è di questo passato, fortemente connesso con la ruralità, che Giulio ama parlare. E scrivere. Come nel suo recente libro «Mamma, ti ricordi la casa rossa?», dedicato a una vicenda dolorosa, quella che ha colpito appunto la madre, da quando si è ammalata di Alzheimer.

Non è solo la cronaca di un male subdolo che condiziona l’esistenza di una famiglia, ma il racconto di quell’adolescenza trascorsa tra filari di viti e fichi secchi. Laggiù, lontano dalla capitale e libero dagli obblighi cittadini, Giulio scopriva il senso delle cose semplici, con i valori che gli sono rimasti dentro. L’abbiamo incontrato alla libreria Feltrinelli Point di Arona, sul Lago Maggiore, dove ha conversato con i lettori e presentato il libro dedicato alla madre.

Di quegli anni in cui il suo pollice verde è maturato Giulio-Lele Martini ricorda i momenti più sgnificativi, i gesti, i gusti, i profumi, che scandivano il passare delle estati. E allora eccolo alle prese con la pulitura dei fichi secchi, ma anche con gli altri ragazzi a raccogliere le olive, i pomodori e infine la vendemmia prima di tornare a Roma. Tutto cascina, cortile, collina, spazi liberi, che plasmavano il suo modo di pensare schietto e deciso, come l’uovo strapazzato (anzi l’uovo scassato come lui lo chiamava) che tutte le i giorni la mamma gli preparava. Tornati a Roma, la ruralitò della famiglia Scarpati si esprimeva anche in appartamento. Proprio così, perché sul terrazzo, quasi in centro, starnazzavano le oche, forse in omaggio alla famosa leggenda del Campidoglio. Comunque sia, il contadino-medico in famgilia (difficile scrollarsi di dosso quel ruolo) ha conservato schiettezza e prudenza al tempo stesso, mutuate proprio dalla gente dei campi. Ancora oggi, confessa emerge la sua sospettosità di fronte a banche e a coloro che mi prospettano investimenti. E la Casa Rossa? E’ rimasta a Licosa, trasformata in museo di attrezzi contadini.

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