Le notti in trincea per difendere la linea del latte

di Gianfranco Quaglia
E’ una guerra al «calor bianco» quella che da giorni si combatte in Italia tra produttori di latte e industrie di trasformazione. Uno scontro senza precedenti, che sta mettendo in luce tutta la debolezza di un settore e la distorsione di un sistema organizzato e consentito da mancanza di lungimiranza. In altre parole: caduto il regime delle quote latte in Europa, come previsto sta dominando la «deregulation», ma soprattutto emerge il potere di imporre regole e prezzi. Innanzitutto qualche numero: la media del prezzo del latte pagato alla stalla nel 2014 è stata di 0,41 euro il litro; quest’anno di 0,36. Basterebbe questa forbice per capire che la situazione, per gli allevatori, non è favorevole. Malgrado tutto la media del prezzo si conferma ancora superiore rispetto ad altri Paesi del Nord Europa. Ma occorre fare un distinguo: in Italia i costi di produzione, legati al foraggio e ai mangimi, sono molto più alti rispetto a quei Paesi dove clima e piovosità maggiori consentono di avere una riserva quasi costante di alimenti per animali. Ne consegue che gli allevatori italiani lavorano in perdita: nei primi nove mesi dei 2015 altre mille stalle hanno chiuso. Dall’inizio della crisi ne chiudono più di tre al giorno e sono già stati persi 32 mila posti di lavoro.
Chi resiste, per passione e orgoglio, è costretto a ridurre gli approvvigionamenti, ma sino a una soglia minima sotto la quale non si può scendere, perché ne risentirebbe la qualità. Ecco perché molti, piuttosto che cedere a situazioni compromissorie che metterebbero a rischio il Made in Italy, preferiscono chiudere. «Alla vacca si munge il latte, non il sangue» recita un proverbio. Le notti trascorse davanti agli stabilimenti Lactalis (che raggruppa Galbani, Invernizzi, Locatelli, President), il colosso francese che tira le fila del latte in Italia, avevano lo scopo di invertire la rotta e richiamare l’attenzione sulla distorsione di un mercato che umilia chi lavora sette giorni su sette. Non è solo una questione di equità e remunerazione: sono in gioco prestigio e futuro di un made in Italy invidiato da tutti, ma in realtà scimmiottato da molti, visto che dall’estero ogni giorno entrano in Italia 3,5 milioni di litri di latte. L’Italia ne produce undici, i consumatori ne bevono venti. Come dire: quasi la metà del prodotto che arriva sulle nostre tavole non è italiano.

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