Il riso dà i numeri

Di Gianfranco Quaglia

La situazione di mercato ogni anno redatta da Ente Nazionale Risi sull’andamento della risicoltura italiana è un termometro significativo. Per più ragioni: la fotografia di un Made in Italy primo in Europa e secondo nel mondo per volumi di esportazioni. Basterebbero questi due parametri per sottolineare l’importanza del comparto-eccellenza. I numeri: nella campagna 2024-205 su una superficie di 226.128 ettari sono state prodotte 1.452.000 tonnellate. Importate 59.479 tonnellate soprattutto da Pakistan, Thailandia, India, Cambogia, Myanmar, Vietnam, Sri Lanka: pari a un +38 per cento. Questo dato fa riflettere perché la maggior parte del cereale che arriva nel nostro Paese e in Europa è tutto lavorato, in piccole confezioni, quindi già pronto per essere immesso nei canali di vendita (negozi e grande distribuzione): complessivamente pari a 469.417 tonnellate, con un incremento esponenziale negli ultimi anni. Riso direttamente antagonista di quello coltivato in Italia, parte appartenente alle varietà Japonica (da risotto) ma soprattutto Indica (da contorno, maggiormente consumate nell’area UE). Contro questa invasione la filiera risicola italiana invoca il ripristino dello scudo, la cosiddetta clausola di salvaguardia, ormai scaduta e non ancora rinnovata. Per contro l’export italiano (circa 37.734 tonnellate) fin qui ha riguardato una serie di paesi: al primo posto Gran Bretagna, seconda la Svizzera; via via Brasile, Turchia, Bosnia, Australia, Norvegia, Kosovo, Canada.

(L’analisi del 13 gennaio 2025)

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Un’ape regina, anzi da francobollo

Nel 2023 il calo di produzione era stato stimato, in alcune aree, tra il 75 e il 90 per cento. Il 2024 ha dato il colpo di grazia. Stiamo parlando di miele italiano, decimato a causa del cambiamento climatico e contrastato anche dalla concorrenza straniera. Un settore in ginocchio, che da anni invoca aiuti e interventi strutturali. Voci che non sempre vengono ascoltate. Ecco perché ogni pur piccolo segnale, anche simbolico, è considerato con la massima attenzione. Come l’idea di dedicare all’apicoltura un francobollo. L’emissione filatelica non è passata inosservata, anzi è stata recepita dai 77 mila apicoltori come un riconoscimento al lavoro da loro svolto, così osserva Raffele Cirone, presidente della Federazione Apicoltori Italiani (FAI), anche per il ruolo di difensori della biodiversità dei paesaggi e degli ecosistemi.

«Il comparto dell’apicoltura, nonostante la sua gloriosa tradizione – ricorda Cirone – è stato considerato per lungo tempo un ‘allevamento minore’: ci sono voluti anni di grande impegno per dotarlo di strumenti normativi, azioni di sostegno, interventi ordinari e straordinari. Questo francobollo, nel definire il valore simbolico e sostanziale del settore, corona dunque i sacrifici di chi l’allevamento delle api lo porta avanti da generazioni fronteggiando ogni tipo di avversità. Un ringraziamento ai ministri Lollobrigida, Urso, al sottosegretario, Luigi D’Eramo, all’ad di Poligrafico e Zecca dello Stato, Francesco Soro e al responsabile Filatelia Italiana di Poste Italiane, Giovanni Machetti, per aver accolto la nostra istanza».

Non è la prima volta che le emissioni filateliche, in Italia, riguardano il mondo della natura. La tematica sugli animali è stata dedicata alla salvaguardia del mare, in particolare alla fauna marina del Mediterraneo, con i pesci in primo piano. Altri francobolli hanno immortalato i cosiddetti “domestici” (gatti, cani). Ma anche gli uccelli, le farfalle. E gli esemplari rarissimi, in estinzione, come la lucertola delle Eolie.

(L’Analisi del 5 gennaio 2025)

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La mela parlante ci racconta una storia

Una mela al giorno…ecc. ecc. Quanti proverbi attorno al frutto più consumato, conosciuto, carico di proprietà nutrizionali e di storia (da Adamo ed Eva in poi). Ora, dall’Alto Adige, patria per eccellenza delle Rosacee, arriva un podcast dal titolo “Un mondo oltre la mela. Esperienza di gusto europea”. Una narrazione che trasporta l’ascoltatore in un viaggio sensoriale, rappresentato dall’incontro tra un fruttivendolo e una ragazza, Marta, che fruisce passo dopo passo di una storia legata a questo frutto universale. Al racconto hanno prestato voce anche due sommelier delle mele, in grado di descrivere le proprietà organolettiche. Sono 13 le varietà di mela Alto Adige IGP entrate a far parte della campagna europea e raccontate durante il podcast. Il mezzo di comunicazione e diffusione rapida è disponibile sulle principali piattaforme  al link “Un mondo oltre la mela” ed è stato realizzato da Podcast Italia Network. Le voci sono di Jessica Gentile, Matteo Ranzi e Igor Principe (autore e voce narrante). Per coloro che desiderano approfondire è possibile reperire altre informazioni sul sito web mondomela.eu.

Pochi sanno, ad esempio, che anche l’approccio alla mela – come avviene per il vino – può avvenire attraverso un’analisi sensoriale, che contempla una serie di step: dall’osservazione sino all’ascolto (proprio così) perché mettendo in bocca uno spicchio, già al primo morso l’attenzione viene posta sul grado di intensità del suono emesso durante la masticazione e si può notare se il frutto è più o meno croccante. Bella idea, quella dell’Alto Adige, che potrebbe essere diffusa anche a molti altri prodotti del Made Italy.

(L’analisi del 29 dicembre 2024)

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Quel chicco di caffè che diventa riso

Sette milioni di piatti, oltre 6.600 quintali, cento città coinvolte in Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia. Sono i numeri del progetto “Da chicco a chicco” che parte dal caffè e viene trasformato in riso per raggiungere i meno abbienti, nell’ambito di una iniziativa che coinvolge dal 2011 Nespresso (colosso del gruppo Nestlè) e Banco Alimentare. L’idea ha movimentato anche decine di aziende agricole nell’area di maggiore produzione (Piemonte e Lombardia). E’ un progetto di economia circolare che comincia con il riciclo delle capsule esauste, con l’obiettivo di riportare a nuova vita i due materiali di cui sono composte: alluminio e caffè. Quest’ultimo può diventare compost per fertilizzare il terreno delle risaie, da cui nasce il cereale che Nespresso riacquista e dona al Banco Alimentare. Sino ad arrivare a 174 strutture caritative. L’alluminio, invece, una volta fuso viene trasformato in oggetti come penne, biciclette o coltellini. Ma sono soprattutto i piatti caldi di riso, distribuiti ai meno abbienti, a fare la differenza e interpretare il senso della solidarietà. Un’idea “contagiosa” che ha spinto anche Fondazione Progetto Arca con le cucine mobili a distribuire risotti alle persone in strada, in quattro città (Milano, Roma, Torino e Bari). Nespresso ha investito oltre 6 milioni di euro in questa filiera che tocca tutti, dal consumatore di caffè sino agli agricoltori e infine ancora al consumatore. Un ciclo completo all’insegna della sostenibilità, che ha incontrato il favore dei risicoltori perché si è scoperto che i fondi delle capsule sono ricchi di azoto, potassio e magnesio. Insomma nutrienti che – trasformati in fertilizzanti – fanno bene al terreno e riducono anche i costi di produzione aziendale.

(L’Analisi del 22 dicembre 2025)

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Spazi da conquistare in Europa che ha fame di riso

Sono sufficienti alcuni numeri per comprendere il paradosso del riso italiano: nell’ultima campagna appena conclusa la superficie è aumentata del 7,6%; ma la produzione è cresciuta di appena lo 0,7 e la rese sono diminuite del 6%. Commento analitico: l’offerta (complice anche l’andamento climatico che ha condizionato l’annata) non tiene il passo della domanda, che per essere soddisfatta necessita di un maggior ricorso all’importazione. Insomma, c’è fame di riso, ma nonostante ciò le 3.600 aziende produttrici non riescono a coprire tutte le opportunità che si presentano sui mercati, in Italia e all’estero. Per contrappasso, in questo momento un dato positivo arriva dalle borse risi: proprio per effetto della domanda-offerta le quotazioni sono in ascesa.

La fotografia della risaia made in Italy e delle sue prospettive è stata scattata al Centro Ricerche Ente nazionale Risi di Castello d’Agogna (PV), dove si è parlato di “Mercato, innovazione, clima: strategie per il futuro del riso italiano”, moderatore Pietro Milani, direttore di Airi (Associazione industrie risiere italiane) e interventi di esperti e ricercatori: Vittoria Brambilla (Università di Milano) su tecniche di evoluzione assistita; Arianna Di Paola (CNR) su cambiamenti climatici; Riccardo Puglisi (Università di Pavia) sul futuro dell’agricoltura nell’UE; Filippo Roda (Aretè, The Agri-Food intelligence-company) sul mercato del riso. In particolare focus su ricerca e clima, a cominciare dalle TEA, con Brambilla che ha ripercorso l’iter di un progetto tutto italiano e approvato dalla Regione Lombardia con la sperimentazione (non Ogm)  in campo, interrotta da un atto vandalico che tuttavia non è riuscito a interrompere né la procedura né i primi risultati raggiunti. Attese erano le conclusioni di Mario Francese, presidente di Airi, che ha fatto il punto sull’andamento del settore, soprattutto quello della trasformazione e dei consumi: “C’è spazio sui mercati europei per riconquistare parte del riso importato. Ma urge anche rivedere le norme relative al cereale confezionato in arrivo nell’area UE: negli ultimi dieci anni si è passati da 40 a 470.000 tonnellate. E’ un problema che riguarda tutto il settore, non solo quello industriale. Poi c’è il tema della reciprocità e della salubrità: è cruciale ottenere deroghe ai limiti d’impiego di alcuni agrofarmaci. Ancora: dopo la drammatica esperienza della siccità di due anni fa, malgrado gli annunci, nulla è stato ancora fatto sul fronte degli interventi”.

In controtendenza rispetto alle preoccupazioni dei risicoltori sul Mercosur, l’intesa raggiunta da von der Leyen con i Paesi del Sudamerica: “Personalmente lo giudico un gesto politico considerevole perché toglie l’area alla Cina. Quanto al riso, la concessione a dazio zero è per 60 mila tonnellate, il che significa il 2,4 per cento dell’UE”.

(L’analisi del 17 dicembre 2024)

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Mercosur, insidia sudamericana per il nostro agrifood

Doveva essere un accordo di libero scambio tra Unione Europea e i Paesi del Mercosur (Mercado Comune del Sur) che comprende Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Si rivela, invece, un patto con strascichi polemici quello sottoscritto a Montevideo da Ursula von der Leyen. L’agricoltura di Francia e Italia si sentono penalizzate dagli effetti che potrebbero ricadere sulle produzioni agroalimentari europee. In sintesi le motivazioni, che per ragioni diverse trovano sulla stessa linea (una volta tanto) le tre organizzazioni agricole sindacali italiane. A cominciare da Confagricoltura che con il suo presidente Massimiliano Giansanti stigmatizza come l’intesa non garantisca equità e reciprocità per il nostro modello agricolo: “Comprendiamo la necessità di approfondire le relazioni commerciali internazionali, ma questo non deve avvenire a discapito degli agricoltori europei e delle nostre produzioni”. Le preoccupazioni principali riguardano l’import di carni bovine, pollame riso, mais e zucchero. Cristiano Fini, presidente Cia (Confederazione italiana agricoltori), sottolinea come questo accordo liberalizzi l’82% delle importazioni agricole dal Sudamerica. Scendendo nei numeri: concessione da parte dell’Ue di contingenti tariffari su carni bovine (99.000 tonnellate), pollame (180.000), carni suine (25.000), zucchero (con eliminazione del dazio su quello brasiliano), riso (65.000), miele (45.000). Ancora Fini: “In Ue si guarda soprattutto ai benefici per comparti come il farmaceutico e automotive, rilevanti soprattutto per l’export tedesco, interessati al quinto maggior mercato mondiale, con 260 milioni di consumatori latino-americani”.

Poi c’è l’interrogativo sulla “Food safety”, cioè la salubrità degli alimenti. In proposito Cristina Brizzolari, presidente di Coldiretti Piemonte: “Basti pensare all’uso nei Paesi sudamericani degli antibiotici e di altre sostanze come promotori della crescita negli allevamenti, o al massiccio uso di pesticidi vietati nella Ue. I nostri allevamenti invece sono il fiore all’occhiello della zootecnica che vanta la razza autoctona Piemontese, con 310 mila capi, 4 mila aziende e oltre 10 mila addetti”.

“E al danno si aggiunge la beffa. – prosegue –  Non contenta di aver siglato il peggiore degli accordi possibili con il Mercosur per la filiera agroalimentare europea aprendo la porta a prodotti con standard di sicurezza e qualitativi inferiori ai nostri, la presidente della Commissione von der Leyen raggiunge il paradosso annunciando un fondo europeo di 1,8 miliardi per facilitare la transizione verde e digitale dei paesi del Mercosur. Insomma spalanchiamo il mercato europeo a prodotti alimentari ottenuti utilizzando a monte farmaci per la crescita degli animali, con colture prodotte utilizzando pesticidi spesso vietati in Europa perché pericolosi. Di fatto un vero e proprio strumento di rottamazione dell’agricoltura europea simile a quello che abbiamo fatto rimangiare a suo tempo al commissario Timmermans. Una elemosina che vorrebbe portare gli agricoltori e gli allevatori europei a chiudere la loro attività perché non possono competere con i bassi standard del Mercosur”.

 “Un’intesa inaccettabile” la definisce Natalia Bobba, presidente di Ente Nazionale Risi. “Nell’accordo – prosegue – manca il principio di reciprocità che è indispensabile per non far entrare nell’Unione europea prodotti agroalimentari ottenuti senza il rispetto degli standard ambientali e di sicurezza alimentare che, invece, devono essere garantiti per i nostri prodotti. Per quanto riguarda il riso, è prevista una concessione ai paesi sudamericani di un contingente a dazio zero di 10.000 tonnellate per il primo anno che si incrementerà ogni anno di 10.000 tonnellate fino ad arrivare a un massimo di 60.000 tonnellate.

«Ancora una volta la Commissione europea è andata dritta per la propria strada, incurante del forte malcontento espresso da tutto il mondo agricolo europeo – continua Bobba – L’Ente Nazionale Risi si adopererà affinché l’Italia voti contro l’accordo oppure, come dichiarato dal Ministro Lollobrigida, che vengano previste adeguate garanzie sulla reciprocità, la protezione delle nostre produzioni e delle compensazioni per eventuali danni che potremmo subire».

Dopo il controllo legale finale da parte di entrambe le parti, il testo sarà tradotto in tutte le lingue ufficiali dell’Unione e quindi presentato al Consiglio e al Parlamento per ottenere la loro approvazione. La Francia, che si è sempre dichiarata contraria all’accordo, sta cercando alleati per ottenere una minoranza di blocco in seno al Consiglio che si verificherebbe con il voto contrario di 4 Stati Membri in rappresentanza del 35% della popolazione dell’Unione. L’Italia rappresenta l’ago della bilancia per il destino dell’accordo.

(L’analisi dell’8 dicembre 2024)

 

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“Gorgonzola e i dazi di Trump? Noi pronti alle sfide”

“Trent’anni fa dettavano legge il Roquefort e lo Stilton, oggi il Gorgonzola Dop produce tre volte la quantità degli altri due”. Fabio Leonardi, ceo di Igor, l’industria leader del formaggio erborinato più noto al mondo, esordisce così a chi gli chiede come sta andando il comparto. E lo dice a chiare lettere, davanti a una platea di industriali piemontesi che stanno partecipando all’evento “Le 1000 imprese best performer” promosso da Italy Post e L’Economia del Corriere della Sera, nel Lab Comoli Ferrari di Novara. Un confronto a tutto campo, tra eccellenze, a cominciare dal padrone di casa Paolo Ferrari, altro leader italiano nel campo dell’impiantistica elettrica, che non nasconde le difficoltà di un 2024 difficile, segnato da luci (mai come qui è il caso di sottolinearlo) e ombre dovute alla concorrenza di altri competitor arrivati in Italia. Ma è anche l’occasione per tastare il polso del mondo imprenditoriale di fronte alle sfide (leggi Trump) che ci attendono dietro l’angolo. Bene per molti il 2024, incerto il 2025 sull’onda delle minacce o promesse che arrivano dagli Stati Uniti. Che si traducono in una sola parola: dazi sui prodotti agroalimentari europei. Leonardi: “Il neopresidente eletto negli States li aveva già introdotti durante il primo mandato, poi Biden li aveva sospesi. Noi siamo certi che li reintrodurrà, Bruxelles dovrebbe avere più competenza e cattiveria. Ma vorrei anche ricordare che il settore lattiero-caseario con le sue Dop esporta circa l’80 per cento in Europa e negli ultimi sette anni ha incrementato questo trend del 41%. Soltanto il 20% è esportato in Paesi extra UE. In realtà a preoccupare è la somma dei dazi, perché non sarà soltanto Trump ad aumentarli, ma anche la Cina. E i due Paesi più penalizzati saranno Italia e Francia, con i formaggi e i vini. Abbiamo bisogno di aiuti dal Ministero degli Esteri, della Confindustria e noi trasformatori dobbiamo fare più sistema Paese per trovare tuti insieme quel giusto potere negoziale. Stiamo puntando sulla valorizzazione del latte italiano, che ha raggiunto tetti altissimi. Tutto il comparto deve compiere un salto, puntare sull’economia circolare, l sostenibilità e l’attrattività. Occorre un cambio culturale, investire e efficientare non è più sufficiente. Occorre puntare molto anche sulla formazione ed è ciò che noi stiamo facendo”.

(L’Analisi del 29 novembre 2024)

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Dieta Mediterranea disconosciuta dalla Generazione Z

La Dieta Mediterranea ha un futuro? E’ lecito porsi l’interrogativo, come dimostra la nuova
indagine dell’Osservatorio Waste Watcher International, dal titolo molto esplicito: “La Dieta
mediterranea in Italia: un’eredità di cui riappropriarsi”. A mettere in dubbio certezze che
sembravano consolidate sono i risultati del sondaggio relativo a questo modello nutrizionale,
allo stile di vita che si fa risalire a un luogo simbolo, il Cilento, dove è stato girato il film di
successo “Benvenuti al Sud”. Ebbene, solo il 23 per cento dei giovani fra i 18 e i 24 anni (quasi
uno su quattro) segue questa tradizione o indicazione, definendola però “Un regime
alimentare che prevede un consumo elevato di carne, pesce e latticini, con un ridotto apporto
di carboidrati”. Viceversa, nella fascia di età fra i 55 e 64 anni il 77% parla di “uno stile di vita
che include abitudini alimentari equilibrate, basate su olio di oliva, cereali, frutta, verdura,
pesce, carne moderata, il rispetto della stagionalità e della biodiversità”. A praticarla sono
soprattutto gli anziani (l’85% di chi ha più di 65 anni). Altre curiosità: le donne tendono a
seguirla più degli uomini, consumi più alti di frutta e verdura.
Ma a preoccupare è soprattutto la risposta della generazione Z. Come invertire la rotta? La
misura più apprezzata – sottolinea il rapporto – è l’educazione alimentare nelle scuole (64%),
sostenuta in particolare dagli over 55 (73%). Seguono le campagne di sensibilizzazione sulla
salute. Conforta una richiesta che viene dal mondo giovanile: quasi un giovane su tre propone
di tassare i cibi non salutari. Insomma, c’è ancora molto da lavorare ma per fortuna il terreno è
fertile.

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