La rivoluzione delle etichette

La rivoluzione delle etichette

meat-labellingdi Enrico Villa 

Nel mese di aprile, un’altra svolta nella “rivoluzione pacifica” delle etichette, storicamente un passo avanti per la difesa dei prodotti di origine dell’agricoltura e dei consumatori, in Italia circa 60 milioni di unità e nell’Europa Comunitaria intorno ai 500 milioni disseminati nel 28 paesi partner. Infatti da aprile, appena incominciato, le carni non bovine vincolate all’obbligo dagli anni della mucca pazza, dovranno esibire la piena tracciabilità: allevatore, località dell’allevamento e della macellazione più altre informazioni di dettaglio. In pratica, questo significa che il consumatore sarà messo in condizione al supermarket di sapere quasi tutto sulla carne di pollo e di coniglio o di maiale fresca, congelata o refrigerata che preleva dagli scaffali, dai banconi o dai frigoriferi a vista dei punti vendita.

I precedenti che hanno consentito anche il perseguimento di questo obbiettivo sono recenti. Nell’ambito dell’UE e del Parlamento di Strasburgo il dibattito sulla etichettatura dei generi alimentari di largo consumo è stato lungo, sofferto, talvolta aspro. Gli interessi in gioco erano molti e soprattutto le multinazionali dell’alimentazione non gradivano l’obbligo di notificare informazioni in dettaglio sulla provenienza dei loro prodotti lavorati e offerti a mille chilometri di distanza dal consumo. Poi, andando oltre alla norma italiana del 1992 (D.Lgs 109/1992) l’Unione Europea ha promulgato il Regolamento 1169/2011 che è entrato in vigore per quasi tutti gli articoli alimentari nello scorso mese di dicembre. Per le carni di suino, di ovino e avicole, l’obbligo della quasi completa tracciabilità è stato fissato al 1° aprile 2015 e l’inserimento in etichetta della tabella nutrizionale il 13 dicembre 2016, cioè fra poco più di un anno giudicato esiguo soprattutto da trasformatori di alimenti. Gli specialisti della materia hanno osservato che anche questa nuova normativa contiene più di una lacuna, con un danno soprattutto per le produzioni agricole lavorate nonché per parte dei dop e degli igp, o comunque dei generi alimentari di eccellenza, forte espressione dei territori comunitari. Il pane è uno di questi generi alimentari di eccellenza, tanto è vero che la Regione Toscana e la categoria dei fornai stanno ipotizzando la dop per il pane toscano con forti peculiarità come, del resto, alcuni pani lombardi, sardi e del Ferrarese. Ma l’esempio più ricorrente per evidenziare la lacuna lamentata è quella della carne suina lavorata e trasformata in generi di salumeria. Coldiretti soprattutto batte e ribatte sul fatto che, alla fine, è ignota l’origine di un salume come il popolarissimo cacciatorino. Quale l’origine della carne utilizzata? E quale in termini meno generici l’opificio di trasformazione? E ancora: quale l’alimentazione del suino? Con mangimi davvero esenti da soja, mais e altri alimenti industriali da ogm che hanno invaso i canali zootecnici e che consumatori vedono sempre più con sospetto? Nel suoi comunicati ufficiali Coldiretti richiama, in maniera ricorrente, un prospetto con i generi alimentari di largo consumo in grado di esibire una tracciabilità convincente, e quelli no. Tra di questi ultimi, anche la pasta in Italia con un consumo pro capite annuo di circa 28 chilogrammi. Le industrie di trasformazione, che nel nostro Paese sono molte, assai pregiate e che esportano in quantitativi ragguardevoli, in genere si limitano ad illustrare il prodotto secondo la filosofia pubblicitaria e di marketing del mulino bianco o della buona acqua di sorgente vicino alla fabbrica, però dell’origine del grano non dicono niente. E dalla parte di Coldiretti, impegnata in una guerra contro i generi alimentari taroccati e truffaldini, si evidenzia come il 40% circa dei nostri spaghetti o dei nostri maccheroni sono prodotti con cereale di provenienza estera. E anche questo, oltre ad essere un danno economico, finisce di essere un attentato ulteriore al Made in Italy.

Comunque, già ora le etichette corrette apposte agli alimenti devono contenere sette specificazioni della tracciabilità: il nome dell’alimento, gli ingredienti, il peso netto, il nome e la sede del produttore, la scadenza e le modalità di conservazione, le singole unità contenute in una confezione. Come abbiamo ricordato, dal 13 dicembre 2016 dovrà essere aggiunta la tabella nutrizionale che aumenterà le informazioni sulla reale genuinità dell’alimento con questo obbiettivo di carattere sanitario: la riduzione della tendenza all’obesità, ai guai cardiologici e anche alle neoplasie, problema dei problemi nella Ue e negli Stati Uniti a causa di eccessi di proteine, zuccheri e grassi.

Questi aspetti, che riguardano le etichette in relazione ai consumatori, richiamano anche un modo diverso di delineare le filiere di prodotto secondo i pif, i progetti integrati di filiera auspicati dall’Ue tramite la nuova Pac. Un seminario organizzato a Torino dalla Regione Piemonte il 27 novembre 2014 ha, tra l’altro, proprio evidenziato questo: una strada per il funzionamento delle filiere agroalimentari sarà il rispetto puntuale delle regole sulle etichettature, incominciando dai produttori agricoli e dai trasformatori.

 

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