La risaia di Putin si sposa con la terra di “Riso amaro”

di Gianfranco Quaglia

Le risaie di Putin e quelle di casa nostra. Che cosa “c’azzeccano”?
C’entra che oltre i conflitti, le divergenze, gli embarghi e le ritorsioni, il riso corre su un binario tutto suo, travalicando confini e dimostra che il cereale più consumato al mondo è sinonimo di prosperità e di interessi comuni. E, per una volta, di intelligenza da condividere per migliorare la produzione. Accade che risicoltori e tecnici russi della regione di Krasnodar, sulle rive del Mar Nero, sono arrivati nelle risaie di Vercelli e Novara per verificare i passi compiuti in comune con la ricerca made in Italy attraverso un progetto in cooperazione realizzato assieme a SaPiSe (Sardo Piemontese Sementi) di Sali Vercellese, nota per aver realizzato il famoso riso nero Venere. La missione è speculare a quella che Massimo Biloni, direttore generale della cooperativa piemontese, ha compiuto nelle risaie dell’area di Krasnodar. La “joint venture” si basa sul trasferimento e l’ibridazione di linee produttive a migliaia di chilometri di distanza, ma affini tra loro per le particolari condizioni climatiche.
La guerra in Ucraina e il nuovo scenario che ha visto contrapposti Mosca e l’Unione Europea non hanno fermato la sperimentazione. Anzi, il riso, quasi fosse uno strumento di pace, viaggia per conto suo. Lo scopo della ricerca-pilota è orientato a un miglioramento genetico che riguarda sia l’Italia sia la Russia. Si tratta di trovare un riso più resistente agli attacchi parassitari e in grado di garantire una produzione maggiore rispetto a quella attuale. Incrociando le varietà si rafforzano le caratteristiche e si può arrivare a raggiungere il cosiddetto super-riso. Insomma, non è utopia pensare che molto presto il riso del domani parlerà italo-russo.
La Russia, molti lo dimenticano, è il secondo Paese produttore del continente europeo, con 150 mila ettari, preceduto soltanto dall’Italia che ha una superficie di 220 mila ha. L’Italia, dal canto suo, oltre a essere leader nell’Unione Europea, è anche al primo posto per esportazioni di sementi certificate: dei 500 mila quintali prodotti dai nostri agricoltori circa 120 mila prendono la via dell’estero ogni anno per arrivare nei campi di Bulgaria, Turchia, Grecia, Marocco e, appunto, Russia. Come dire: i risicoltori stranieri scelgono il seme italico perché credono nella forza e nella qualità della specie.

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