Il riso è tornato a ballare in pista

di Gianfranco Quaglia

Un grande setaccio appeso al soffitto del vecchio locale in cui già quattro-cinque secoli fa si “pestava” il riso appena colto. L’ingegner Giovanni Testa, torinese, liceo classico al Valsalice, poi politecnico, ora fa l’agricoltore alla cascina Grampa di San Pietro Mosezzo, nel Novarese. Le operazioni di raccolta del cereale sono terminate da poco, è tempo di soppesare i frutti della stagione: i chicchi di Carnaroli, Baldo, Apollo, maturati al sole di una lunga estate. Quando arrivò qui, qualche anno fa, determinato a proseguire nell’attività che era stata dei nonni, l’ingegner Testa con la moglie Elisabetta scoprì che la cascina era carica di storia e la racconta mentre agita quel setaccio pulendo il riso appena sbramato dai mortai della “pista”, resuscitata e rimessa in moto dopo un’ibernazione durata decenni. Come se avesse rianimato il tempo che fu, l’ingegnere ha ridato vita a quella macchina azionata come allora da una ruota sospinta dall’acqua della roggia Crosa. Una ricostruzione meticolosa, con i pezzi rimessi a nuovo, altri sostituiti, ma fedelissimi agli originali. Gli agricoltori della zona lo guardavano con curiosità. Non sapevano che quel giovane ingegnere venuto da Torino fosse un vero “bogianen”, che al contrario dell’interpretazione popolare non significa posapiano, ma ricorda la determinazione dei soldati nella lontana battaglia dell’Assietta contro i francesi. Insomma, uno di quelli che non mollano. Mai. Ed eccola la “pista” con i mortai, i pestelli messi in movimento dalla ruota azionata dall’acqua che depilano il riso. Con il processo di estrusione (o sfregamento) lo sbramano e ne fanno chicchi pronti per essere apprezzati dai consumatori più esigenti che vogliono il prodotto quasi integro. Ma solo dopo una passata al setaccio, come facevano gli avi dell’ingegnere, abituati a cullare quel riso per togliere le ultime impurità prima che finisse in cucina.

 

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