Il paesaggio rurale valore da riscoprire

Il paesaggio rurale valore da riscoprire

di Enrico Villa

risaiaTre elementi caratterizzano la risaia piemontese, ormai anche chiamata terre d’acqua: ogni primavera la sommersione del territorio, i cascinali veri e propri villaggi nati nel XVII secolo, e i castelli nella parte Nord dell’area, costruiti dall’anno Mille e successivi, in particolare dal XIII secolo. Attraversati dai torrenti Elvo e Cervo, nonché dal fiume Sesia, i terreni mutano progressivamente e “si slanciano” verso le Prealpi Biellesi. Così come accaduto per le Langhe e il Roero, luoghi di vigne e di vite, almeno dagli anni Cinquanta nel Vercellese esiste anche un sogno: che qualche organismo internazionale, come l’Unesco, dichiari tutti i lembi coltivati a riso del Piemonte Orientale patrimonio dell’umanità.

La trasformazione di 44 mila ettari
Le ragioni sono molte. In primo luogo, in un contesto aspro fatto di terreni argillosi e ferrosi, la selezione di varietà di riso come l’Arborio , il Sant’Andrea e, per ultimo il Goio 1929 – coevo del Maratelli, selezionato nella bassa pianura – e ottenuto da una famiglia di Rovasenda, anche sede di un magnifico castello. In secondo luogo, la trasformazione agricola e paesaggistica di un’area di 44 mila ettari che in oltre mezzo secolo cambiarono uomini passati alla storia della bonifica integrale come Piero Sillano, Pietro Monti, Eduardo Castelli, Carmelo Jacopino venuto dalle Calabrie e tanti altri i quali intrecciarono la loro esistenza con quella della coltivazione del riso e di altre coltivazioni, impossibili senza le acque del fiume Sesia e della Dora nonché di quel capolavoro di ingegneria idraulica-territoriale il quale, nella seconda metà del XIX secolo fu il Canale Cavour, che prese il nome dal primo premier dell’Unità del Paese.
Anche se ancora un po’ in ombra nonostante la loro importanza, si è riacceso il dibattito sul patrimonio che vale miliardi e che il Piemonte possiede: il paesaggio, costantemente insidiato dai piani urbanistici – i quali, oltretutto, violano la Costituzione – ma valorizzato dai piani di sviluppo rurale i quali negli anni 2014-2020 dovrebbero mutare la ruralità regionale. Contemporaneamente ai piani di sviluppo rurale che valgono più di un miliardo di euro (indicazione dell’assessore all’agricoltura Giorgio Ferrero) la Regione Piemonte ha varato anche il Piano paesaggistico, appunto con questa premessa: esso ha l’obbiettivo di tutelare la tradizione e la storia, in ogni caso non contrario allo sviluppo il quale mantenga assolutamente in primo piano pure quello sociale e della modernità. Secondo i calcoli indicativi, appena fatti da uno studio del Politecnico, dall’Ires (Istituto di ricerca economica e sociale) con la firma ufficiale del’Unione Europea e del Ministero delle Politiche Agricole, l’avvio e l’attuazione del piano paesaggistico richiederà un finanziamento di oltre 22 miliardi circa con il concorso delle pubbliche istituzioni regionali, nazionali e comunitarie. Libro dei sogni, o reale possibilità? Si vedrà nel corso dei prossimi 6 0 7 anni, il periodo durante il quale saranno pubblicati i bandi per i piani di sviluppo rurale che da un punto di vista economico dovrebbero modificare, in buona parte, la struttura della agricoltura piemontese. La politica e la burocrazia della Regione Piemonte sono al lavoro. Intanto, sono impegnati anche gli architetti del paesaggio che, appunto, non perdono di vista i piani di sviluppo rurale senza la cui attuazione non vedrà la luce anche il piano paesaggistico regionale. Riferendosi a quello che nel tempo è stato fatto, e a quello che dovrà essere fatto privilegiando i valori paesaggistici e rurali, in un articolo ( Il paesaggio rurale piemontese un valore da riscoprire e valorizzate, Agricoltura dicembre 2015) l’autore Enrico Gottero osserva: Tali valori rivestono un ruolo importante nel continuo processo di sviluppo economico e sociale del Piemonte, sebbene spesso trascurati dalle politiche settoriali a favore di modelli imperniati esclusivamente sulle attività produttive.

C’erano una volta i filari
Un esempio fra i tanti, ritornando alla risaia e alla sua trasformazione: In terre d’acqua non esistono più i grandi filari di alberi che connotavano il paesaggio, dividendo una risaia dall’altra. Se fossero stati lasciati i filari, sarebbe stato più problematico l’impiego dei macchinari semoventi con il condizionamento dello sviluppo meccanico, in risaia molto forte negli anni Cinquanta/Sessanta.
Enrico Gottero è un ricercatore che opera per il Politecnico di Torino, l’Ires, la Regione e altri committenti. In pochi anni ha scritto numerosi saggi dove prevalente è il paesaggio, non contradditorio con l’agricoltura considerata in termini moderni. Questo atteggiamento (lo stesso della Regione e del Politecnico) si riconnette a un bel convegno curato dalla ricercatrice Claudia Cassatella svoltosi il 9 dicembre 2014 a Torino, al Castello del Valentino, con questo titolo impegnativo: prove tecniche di alleanza tra politiche rurali e politiche del paesaggio. L’impegno del pubblico, ma anche degli operatori privati, a distanza di quasi un anno e mezzo dal convegno di Torino al Valentino continua ad essere inalterato: agricoltura e paesaggio si devono integrare senza errori. Come vogliono i piani di sviluppo rurale e i piani paesaggistici, magari ottenendo che anche la risaia piemontese venga dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

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